Le incognite del Green Deal 1) Difficoltà a separarsi dal fossile.

L’Europa dice che (rispetto al 1990) entro il 2030 dovremo diminuire le nostre emissioni del 55% ed arrivare ad emissioni azzerate entro il 2050. Dice che bisognerà investire molti soldi e lancia per questo un European Green Deal. Che basti quello che prevede di investire, che i soldi si trovino e che gli investimenti siano canalizzati nella direzione giusta è agenda che ha già scatenato letteratura copiosa.

Di seguito mi azzardo a sottolineare qualche nota sul fossile e sulle difficoltà che il Green Deal (o equivalente) potrebbe incontrare.

Ma facciamo un passo indietro.
La Global Challenges Foundation ha rilasciato nel mese di Febbraio 2015 un articolo sulle possibili cause dei rischi che corre la civiltà umanità. Tra queste il cambiamento climatico rappresenta una delle maggiori sfide che l’umanità dovrà affrontare nei prossimi anni.
Già dal 1880 secondo le previsioni degli scienziati c’è stato un significativo innalzamento della temperature, e l’aumento complessivo di 2 °C causerà una catastrofe: inondazioni, diminuzione delle produttività agricola e della sicurezza alimentare, una grande riduzione dei ghiacci polari, l’innalzamento del livello dei mari al punto da rendere inabitabili ampie zone costiere e contemporaneamente l’inaridimento di molte aree coltivate.
Agli attuali ritmi di emissioni di gas serra nell’atmosfera, le Nazioni Unite prevedono che l’aumento della temperatura media globale sarà arrivato a 4 °C nel 2100. Nello scenario più pessimistico l’aumento potrebbe essere di 7,8 °C. Se non sarà la fine del mondo poco ci manca.

La parola d’ordine è limitare l’aumento della temperatura della Terra a 1,5 °C , (l’obiettivo ambizioso dell’Accordo di Parigi sul clima). E’ quindi cruciale per salvare la maggior parte delle specie animali e vegetali del mondo.

Tuttavia, se i dati ufficiali sono questi a distanza di 41 anni dal 1880, pur ammettendo un aumento della temperatura di soli 0,1 °C . all’anno oggi avremmo dovuto aver raggiunto la temperature limite di 2°C. Di contro non si sono verificate la catastrofiche previsioni quantunque sia aumentate le emissioni di CO2 nell’atmosfera.

Effetto serra, cambiamento climatico, riscaldamento globale. Sono la stessa cosa?

L’effetto serra è un fenomeno naturale che ha reso possibile la vita sulla Terra. Ne sono responsabili alcuni gas presenti nell’atmosfera, come l’anidride carbonica: trattengono parte delle radiazioni infrarosse emesse dalla Terra e mantengono temperature sul pianeta che lo rendono vivibile. Le piante assorbono ed emettono in continuazione anidride carbonica, gli oceani, i vulcani disperdono gas e polveri nella atmosfera.
Ultimamente però quando si parla di effetto serra ci si riferisce alla sua intensificazione dovuta alle emissioni di gas serra prodotte dalle attività umane, che stanno causando un aumento della temperatura media globale. Il riscaldamento globale appunto.
Cambiamento climatico” è un’espressione più ampia, che comprende anche altri fenomeni legati in qualche modo all’aumento della presenza di gas serra nell’atmosfera e al conseguente aumento delle temperature. 

Ma allora è solo colpa nostra?

Per gli scienziati la risposta è sì. Dicono che è dall’inizio della Rivoluzione industriale (metà del Settecento) che l’umanità ha immesso miliardi e miliardi di tonnellate di anidride carbonica (CO2) e altri gas serra nell’atmosfera. Dicono che dal momento che da migliaia di anni nessun asteroide è caduto sulla terra, dal momento che non ci sono state eruzioni di vulcani, la causa può essere solo umana.
Ma finora non è stato possibile accedere ai dati ufficiali, alle metodologie delle rilevazione nella misurazione delle temperature, la distribuzione delle aree. Ma soprattutto non si conoscono le equazioni relative a giustificare tali previsioni. In altre parole non esiste una equazione di stato che descriva e comprenda tutti i fenomeno naturali e umani che causano le emissioni di CO2 e delle polveri sottili nella atmosfera che generano l’effetto serra.
Solo comunicati ufficiale dei quali non ci è possibile dubitare e dissociare. La scienza “ufficiale” rifiuta qualsiasi confronto. Le variabili umane e naturali che influenzano la distribuzione mondiale della temperatura sono molteplici e complesse che non ci permettono di avere una esatta equazione matematica da inserire nei computer per trarre simulazioni attendibili. Ci affidiamo a modelli simili alle previsioni del tempo, che se tutto va bene non vanno oltre la settimana, ma nel contempo sappiamo cosa ci succederà nel 2050. Le equazione della relatività generale di Einstein che descrivono l’universo sono più attendibili.

Lo scioglimento dei ghiacciai, le concentrazioni di anidride carbonica sono una evidenza la cui causa non può essere attribuita solo all’attività umana.

I problemi preliminari del “fossile zero”

Ricordiamo che l’emissione zero è da raggiungere tassativamente entro il 2050. Un obiettivo ambizioso e molto difficile da raggiunge se solo guardiamo ai progressi nulli fatti dal trattato di Parigi.

Tanto per cominciare: Le fonti fossili oggi pesano per il 60% (o poco più) dell’emissione. E dunque se vogliamo diventare neutrali ci tocca tagliare altro; sicuramente gli allevamenti, soprattutto bovini (che da soli valgono più del 10% dell’emissione globale di CO2; ma anche oltre il 20% di quella di metano). Fare sparire il latte insieme al combustibili fossili (carbone, petrolio).
Se Green Deal ha da essere, l’obiettivo 2050 potrebbe avere qualche significativo problema di legittimazione e di realizzazione pratica.

Concentriamoci comunque sulle fossili. Nel 2018 rappresentavano ancora più dell’80% delle nostre fonti primarie (e nel 2019, aspettando conferma dal BP Statistical Review 2020, il dato non cambia). Direte che in Europa siamo maestri di virtù e dunque siamo piazzati molto meglio; però nel 2018 sempre di un 75% stiamo parlando (1263,4 Milioni di Tonnellate di Petrolio Equivalente-Mtep di fonti fossili rispetto ad un consumo totale di energia di 1688,2 Mtpe). L’obiettivo diventa in pratica il pieno compimento in trent’anni di una transizione energetica.

Il primo problema è che nei processi industriali ad alta temperatura (acciaio, vetro, cemento…) senza le fossili non riesci ancora a produrre. Nel decennio a venire ci riuscirà forse di produrre alluminio senza emissioni; ma per il resto la strada è ancora lunga. Non vi illudano la ‘ecofonderia’ in via di completamento in Austria o il futuro verde dell’Ilva. Ci sono lavorazioni realizzabili solo con il vecchio caro altoforno a fossile; ed “il cambiamento non è per domattina“.

La Energy Transitions Commission ha ipotizzato che l’obiettivo emissione zero per le lavorazioni più energy intensive possa essere raggiunto, investendoci assai, per il 2060; ma nel 2060 e, appunto, investendoci molti ma molti soldi. Poi per carità, siamo europei e lo European Green Deal è un obiettivo europeo, non globale. Nulla dice sul programma mondiale. Basterebbe ripetere Kyoto, favorire il carbon leakage e perciò il trasferimento altrove di quel che resta della nostra industria pesante. Delocalizzeremmo come nel dopo Kyoto la puzza, che è locale: ma non l’emissione, che è globale. Una partita di giro. Noi europei potremmo essere più virtuosi di altri, ma un qualche asiatico o sud americano che insisterà nel fare i furbi; e lo stock in atmosfera che ti aumenta uguale.

Una molecola di CO2 ha vita lunga. L’emissione è un flusso continuo di anidride carbonica che si fa stock e in modalità stock ha lunghezza di vita variabile. Per la CO2, convenzionalmente, possiamo assumere che campi cent’anni. Il che significa che oggi, a emissioni zero, ci vorranno la bellezza di 100 anni per l’abbattimento a terra del CO2. Che dunque, che l’atmosfere esca ora dallo stock e si disperda nel 2050 è una missione quasi utopistica.

Un esempio. Le emissioni nel 1920 furono attorno a 3,5 miliardi di tonnellate e nel 2019 sopra le 3,6. Insomma la certezza che, per quanto il coronavirus ci abbia aiutato nel 2020 lo stock di CO2 in atmosfera aumenterà di qualche decina di miliardi di tonnellate. Guardando poi al 2050, la “neutralità” rispetto allo stock esistente me la detta il dato 1950: 5,28 miliardi di tonnellate. Non è necessario arrivare ad emissione zero, però ci tocca di tagliare i 6/7 ttimi dell’emissione corrente.

Un obiettivo “fossile zero”: qualcuno potrebbe obiettare che se riusciamo a stoccare la CO2 liberata dalle fossili potremmo risolvere il problema , ma continuo a pensare che il contributo della riduzione di CO2 sarà al più marginale.

(…… continia ……)

(dal web)

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2 risposte a Le incognite del Green Deal 1) Difficoltà a separarsi dal fossile.

  1. bruce ha detto:

    Riporto un interessante commento rilasciato sulla mia bacheca di FB.
    “E’ inutile spendersi per controbattere quelli che vogliono dimostrare un’affermazione di fantasia per forza, visto che hanno i favori della larga maggioranza: tocca allinearsi e si viene finanziati, in fondo il ricercatore tiene famiglia (esperienza di vita vissuta). Qui la questione è che , sotto l’attuale spinta dell’ambientalismo, ancora una volta si è saputo terrorizzare la gente a scopi commerciali: risvegliato l’interesse di nomi importanti e dei mass media, poi chi ha il cordone della borsa, se c’è il business, fa il resto: e qui il business c’è e grosso. Ad esempio, la bufala del buco nell’ozono al Polo Sud prodotto dal cloro del freon: bastava ricordare che in Antartide c’è il vulcano attivo Erebus, che lancia 1000 t/giorno di cloro surriscaldato nella stratosfera (ed un altro centinaio di vulcani fanno lo stesso quotidianamente) per farsi qualche domanda in più invece di farsi prendere per il cxxxlo di corsa. Ma la Conclusione fu: sostituiti i freon con altri gas che, almeno allora, erano tra 5 e 10 volte più costosi, sostituite tutte le macchine frigo (tranne Cina ed India), in più il freon continua ad essere prodotto su un fiorente mercato da 3 miliardi di $/anno e il surplus “climalterante” pare si distrugga con incentivi pubblici. Per quanto concerne la CO2, è noto che essa è una quantità irrisoria dei gas atmosferici (0,035%) e quella di origine antropica presente in atmosfera è solo il 3% di questo 0,035%: anche se il contenuto di CO2 antropica si riducesse rispetto all’attuale (come si afferma) del 55% (😂🤣 ) nel 2050, ammesso che le Nazioni che oggi non hanno acqua, sanità ecc si mettano a fare energia elettrica verde intermittente a 50 c$/kWh, la riduzione TEORICA porterebbe la percentuale di CO2 antropica al 1,5% del totale. Ovviamente va da sé che ciò non ci dà la manopola del termostato della Terra. In più la CO2 ha un suo equilibrio naturale chimico-biologico anche con l’acqua, con una costante d’equilibrio che orientativamente vale attorno a 50 (per immettere una ton CO2 in atmosfera ne devi produrre 51, e chissà, forse pure per toglierla), per cui, ammesso che non intervengano ulteriori equilibri chimico-biologici ignoti, l’effettiva riduzione sarebbe di qualcosina per diecimila. Traducendo però questa riduzione della CO2 antropica dal 3% all’1,5% in termini di realizzazioni industriali eseguite con la “fretta che tutto va fatto per il 2050”, significa finanziamenti e incentivi immensi per ogni iniziativa di produzione energetica “verde”, ad es. milioni di turbine eoliche da 2 MWe stimabili sui 3 M$/cad, e via dicendo. Chi aveva i cordoni della borsa (leggi grandi concentrazioni finanziarie) se ne era accorto dall’inizio, già anni 90. Il resto va da sé.”

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