L’Alternatore – la Dinamo



L’alternatore Induzione magnetica Segno della corrente
La legge di Faraday-Neumann Fisica dell’alternatoreAlternatore sincrono trifase
Avvolgimenti Frequenza di rotazione Sistema trifase Schema di utilizzo
Sistema trifase – monofase, la differenza
La dinamo – la differenza con l’alternatore a corrente alternata



L’ALTERNATORE

L’alternatore sfrutta il fenomeno dell’induzione magnetica.

La prima applicazione dell’induzione elettromagnetica è stata la produzione di corrente alternata e il suo sviluppo è stato così ampio che quasi tutta la energia elettrica che utilizziamo è prodotta da generatori di corrente alternata.

Le centrali nucleari, termoelettriche, idroelettriche, eoliche, non servirebbero a niente senza un alternatore.

L’alternatore è un dispositivo che permette di produrre energia elettrica,

In elettrotecnica l’alternatore fa parte delle macchine elettriche. Queste sono classificate in macchine statiche e dinamiche.

  • Macchine statiche: Il trasformatore che serve a cambiare la tensione elettrica di una corrente, e in particolare di una corrente alternata. 
  • Macchine dinamiche o macchine rotanti: alternatori e motori elettrici.

Un motore elettrico è una particolare macchina elettrica rotante che trasforma l’energia elettrica in ingresso, applicata ai morsetti di alimentazione, in energia meccanica in uscita resa disponibile sull’asse del motore.

L’alternatore è una macchina elettrica rotante che converte l’energia meccanica fornita all’asse motore in energia elettrica sotto forma di corrente alternata.

Qui sotto lo schema (preso dai miei appunti universitari) che evidenzia la differenza tra motore e alternatore.

Vi sono alternatori grandi come quelli di una centrale elettrica, di una automobile, di piccoli motori come la dinamo della bicicletta.

  • In una centrale elettrica l’alternatore è mantenuto in movimento dalla rotazione di una turbina
  • L’alternatore di un’automobile, che alimenta la batteria, è mantenuto in movimento dal motore.
  • La dinamo di una bicicletta, che fa accendere le luci, è mantenuta in movimento dal moto della ruota.

Qualunque sia il tipo o dimensione, l’alternatore richiede energia di esercizio.



INDUZIONE MAGNETICA

Una spira rettangolare o circolare che ruota dentro un campo magnetico uniforme, intorno a un asse perpendicolare alle linee del campo, è un semplice alternatore.

In linea di principio un alternatore è costituito da una spira che viene fatta ruotare all’interno di un campo magnetico. La diversa orientazione della spira fa sì che il flusso magnetico vari continuamente, generando così una corrente indotta. Più rapidamente muoviamo la spira, maggiore è la forza elettromotrice e quindi anche la corrente indotta nella spira.

Un campo magnetico che varia genera una corrente indotta

Seguendo il moto della spira, vista in sezione nella figura sotto, il flusso:
1) all’inizio è massimo quando l’angolo tra il campo B e la perpendicolare della spira vale 0°,
2) è uguale a zero a 90°,
3) diventa minimo (cioè negativo) a 180°, perché le linee del campo magnetico entrano nella faccia positiva,
4) si annulla di nuovo a 270°,
5) torna massimo a 360° nella posizione di partenza

Figura 1

Nella rotazione varia l’angolo della spira e il campo magnetico. Il flusso del campo magnetico che attraversa l’area della spira cambia.

Il flusso magnetico che varia, come mostrato nella figura qui in alto, produce una tensione alternata, che cambia continuamente valore, ma si ripete sempre uguale dopo un periodo T, che è il tempo impiegato dalla spira a fare un giro completo.

Questa tensione alternata provoca una corrente alternata che scorre con intensità variabile, per metà periodo in un senso e per l’altra metà periodo nel senso opposto.



SEGNO DELLA CORRENTE

  • A positivo e massimo, quando le linee del campo escono perpendicolari dal circuito;
  • B zero, quando le linee del campo sono parallele alla superficie del circuito;
  • C negativo e minimo, quando le linee del campo entrano perpendicolari nel circuito.

Nel circuito esterno circola una corrente che cambia verso ogni mezzo periodo e varia con la stessa frequenza con cui ruota la spira.

Se c’è una corrente indotta, ci deve essere una forza elettromotrice (indotta) che la produce. Molti esperimenti, condotti alla metà dell’Ottocento, hanno portato alla legge dell’induzione elettromagnetica, detta legge di Faraday-Neumann.



LEGGE DI FARADAY – NEUMANN

Alla base del funzionamento di un motore è la legge di Faraday che afferma che quando una corrente scorre in un conduttore immerso in un campo magnetico, si manifesta una forza sul conduttore stesso.

Quindi su una spira rettangolare come quella nella figura, si avrà una coppia meccanica.

Aumentando il numero di spire, ed eccitandole nella sequenza opportuna, si otterrà coppia con continuità e conseguentemente la rotazione dell’albero motore.



FISICA DELL’ALTERNATORE

La legge di Faraday –Neumann afferma che la forza elettromotrice indotta in una
spira da un campo magnetico B è tanto maggiore quanto maggiore è la variazione del flusso magnetico attraverso la spira stessa.

Non lasciatevi impressionare. La formula esprime in termini matematici quello che ci siamo appena detti: la forza elettromotrice indotta non è altro che la variazione del flusso Φ( 𝐵⃗ ) nel tempo t. La freccetta sulla B sta ad indicare che il campo magnetico è direzionale. Il segno meno è una convenzione. Più precisamente la fem è la derivata del flusso nel tempo.

Il flusso del campo magnetico nel caso dell’alternatore è uguale a:

Anche qui niente paura.

La formula non dice nient’altro che il flusso ha una andamento oscillatorio che dipende dall’angolo di rotazione α tra il campo magnetico B e la perpendicolare alla spira S, ovvero la rotazione della spira nel tempo, dove ω è la sua velocità angolare di rotazione: α = ω t . S è la superfice della spira.

La 𝑓𝑒𝑚 perciò si ottiene derivando la formula (2):

In un circuito in cui è presente una resistenza R, la corrente indotta risulta:

Le formule (3) e (4) rappresentano rispettivamente la forza elettromotrice indotta e la corrente indotta. Entrambe sono delle grandezze variabili nel tempo in fase secondo la funzione seno e con valori massimi pari a 𝑓0 e 𝐼0.

Avere un numero maggiore di spire vuol dire un maggiore flusso in quanto la superficie “investita” dal campo magnetico aumenta all’aumentare delle spire.

Qui sotto lo schema equivalente dove X e R sono la reattanza e la resistenza delle spire.



Alternatore sincrono trifase

Sfruttare il principio della induzione magnetica e la legge di Faraday – Neumann per arrivare ad una macchina che genera corrente alternata ce ne passa.
Questo si ottiene creando un campo magnetico rotante negli avvolgimenti sulla parte fissa sfasati di 120 gradi tagliati dal un campo magnetico rotante.

2024-03-07_21h49_47

La grandissima parte degli alternatori sono sincroni trifasi.

L’alternatore sincrono nelle centrali sfrutta la potenza meccanica fornita da un motore primo (es: una turbina) in potenza elettrica ceduta dalla parte fissa (statore) alla rete elettrica.

L’alternatore sincrono è costruito da una parte fissa esterna chiamato statore (con avvolgimenti) e da una parte mobile detto rotore o induttore al suo interno (con avvolgimenti). Le due parti sono fisicamente separata da uno spazio chiamato traferro.

Il funzionamento della macchina avviene portando in rotazione a velocità costante [g/1′] il rotore (allo scopo, il rotore è accoppiato tramite l’albero ed un giunto alla girante di una turbina) ed eccitando con una corrente continua Ie [A] l’avvolgimento induttore.

Quando si pone in rotazione il rotore a velocità angolare ωr = 2 π n / 60 il campo magnetico solidale col rotore ruota nel traferro con velocità angolare ωm = ωr

Poiché gli avvolgimenti dello statore e del rotore hanno un uguale numero di coppie di polari, il campo rotante statorico ruota con velocità angolare del rotore.

Accade così che i conduttori attivi, calati nelle cave di statore, vengono tagliati dal campo induttore che ha distribuzione sinusoidale nello spazio e, per la legge dell’induzione elettromagnetica, diventano sede di f.e.m. indotte sinusoidali nel tempo. 

Le f.e.m. indotte nei singoli conduttori attivi sono raccolte in serie per comporre la f.e.m. di ciascuna fase e, se gli avvolgimenti delle tre fasi sono adeguatamente scostati tra di loro (120 gradi), le tre fasi costituiranno infine una terna trifase simmetrica di f.e.m.. 

Se lo statore alimenta un carico equilibrato, esso diventa sede di tre correnti equilibrate di pulsazione ω che produce il campo magnetico rotante statorico secondo la formule 2) sopra riportata.

Affinché si sviluppi una coppia motrice nella macchina, occorre il sincronismo tra il campo rotante dello statore e il rotore, il che si verifica solo quando il motore è già avviato e ruota alla velocità:

L’alternatore trifase è detta sincrono perché i due campi rotanti dello statore e rotore girano alla stessa velocità.

Rotore e statore

Il rotore o sistema induttore è destinato a produrre il campo magnetico B per mezzo di masse magnetiche chiamate poli eccitati da corrente continua da una macchina (eccitatrice) a essi accoppiata. Essendo l’eccitazione in corrente continua, il flusso nel nucleo del polo è costante e, quindi, il circuito magnetico del rotore può essere realizzato in ferro massiccio da lamierini ferromagnetici a forma di corona circolare, e delle cave per l’alloggiamento dei conduttori dell’avvolgimento statorico.

Lo statore o sistema indotto è destinato a raccogliere con i suoi avvolgimenti il flusso magnetico del rotore. Composto in ferro massiccio accoglie le matasse degli avvolgimenti opportunamente sfasati per generare una forza elettromotrice..

Con la rotazione della parte mobile ruota il campo magnetico B generato dalla corrente continua e l’avvolgimento fisso dello statore diventa sede di una forza elettromotrice alternata indotta dal campo magnetico variabile periodicamente nel tempo, cui esso è esposto.

Schema equivalente.

L’alternatore funziona a vuoto quando, essendo regolarmente eccitato in corrente continua Ie, è trascinato in rotazione alla sua velocità nominale ed ha il circuito statorico aperto, così che negli avvolgimenti d’indotto non si abbiano correnti.

In tali condizioni, l’unico campo presente nella macchina è quello induttore F che produce in ciascuna fase dell’indotto la f.e.m. sinusoidale

Se Po è la potenza fornita dal motore primo M funzionante con velocità angolare ωr = 2 π n / 60 la coppia resistente sviluppata dall’alternatore a vuoto sarà:

C0 = P0 / ωr = P0 60 / 2 π n [N m]

L’alternatore funziona a carico quando eroga corrente su un circuito esterno.
Se il carico è equilibrato, considerando che le f.e.m. statoriche sono una terna simmetrica sinusoidale, si avrà negli avvolgimenti d’indotto una terna simmetrica di correnti sinusoidali alla frequenza f [Hz] determinata dal numero di poli e dalla velocità del rotore.



AVVOLGIMENTI

Gli avvolgimenti delle spire attorno alla parte ferrosa mobile e fissa sono l’elemento fondamentale per la produzione della forza elettromotrice.

Avvolgimento rotorico, ha la funzione di creare il campo magnetico che consente il funzionamento della macchina (avvolgimento induttore o di eccitazione);
Per la macchina l’avvolgimento rotorico è costituito dalle bobine isolate avvolte attorno ai poli, nelle quali circola la corrente di eccitazione, avente forma d’onda continua, che crea il campo magnetico induttore, di valore costante nel tempo e direzione, rotante nello spazio alla velocità del rotore.

Avvolgimento statorico è formato da matasse o piattine con i lati posti in cave statoriche, divise in tre fasi disposte con gli assi a 120°.
A causa della rotazione del campo induttore l’avvolgimento statorico diventa sede di tensioni e correnti indotte (avvolgimento indotto); l’avvolgimento statorico crea un campo magnetico di tipo rotante trifase (reazione di indotto), per cui il regime di funzionamento della macchina è determinato dalla sovrapposizione dei due campi rotorico e statorico.

L’avvolgimento fisso dello statore, tagliato dalle linee di forza di un campo variabile periodicamente, diventa sede della forza elettromotrice alternata indotta.



REGOLAZIONE DELLA ROTAZIONE E TENSIONE CONCATENATA

Nel caso in cui i morsetti d’uscita degli avvolgimenti statorici siano collegati ad un carico trifase equilibrato, si avrà l’erogazione di corrente verso il carico con frequenza f.

La regolazione della frequenza delle tensioni concatenate della rete alimentata dall’alternatore è strettamente legata alla velocità di rotazione del rotore.

La frequenza f di rotazione è espressa in hertz dalla formula f=np/60, ove n è il numero di giri del rotore al minuto primo e p il numero di coppie polari dell’induttore negli alternation.

Le macchine sincrone sono così chiamate perché la velocità di funzionamento è rigidamente legata alla frequenza della tensione generata (alternatori) o applicata (motori) ai morsetti degli avvolgimenti statorici.

A parità di f, gli alternatori lenti (n=100÷600 giri/minuto), hanno molte coppie polari, mentre pochissime (due e anche una soltanto) ne hanno gli alternatori veloci (1500÷3000 giri/minuto) collegati a turbine (turboalternatori).

Perché usiamo la frequenza 50 Hz?

Con f = 50 Hz si ottiene la velocità dalla formula  f=np/60, n=60 f/p

  • 3000 g/min con avvolgimenti con 1 coppia di poli,
  • 1500 g/min con 2 coppie di poli,
  • 1000 g/min con 3 coppie di poli e
  • 750 g/min con 4 coppie di poli.

In questo modo si hanno a disposizione le velocità utili alle utenze industriali.
A frequenze più basse si otterrebbe uno sfarfallamento delle lampadine per l’illuminazione

Con f > 50 Hz aumentano il numero di giri, la corrente, la potenza, compromettendo il funzionamento degli organi elettrici.

Perché 230 volt?

Un voltaggio superiore mette a maggiore rischio il pericolo delle scosse elettriche.

La regolazione della tensione concatenata di linea può essere ottenuta regolando la corrente di eccitazione sul rotore.



SISTEMA TRIFASE

Sullo statore le bobine, N spire o fasci di spire sono disposte a formare un triangolo sfasato di 120°

Le forze elettromotrici di ogni bobina sono rispettivamente:

L’andamento delle tre tensioni è sinusoidale.

Qui sotto lo schema della rete elettrica.

Il circuito elettrico è basato su 3 conduttori, ovvero 3 cavi elettrici con medesima tensione sfasata di 120° dove le 3 fasi elettriche vengono classificate con lettere R, S, T o in alternativa 1, 2, 3 o U1, U2, U3, oppure E1, E2, E3 e il neutro.

Le tensioni usate in Italia sono:

  • oggi, 230 V tra fase-neutro, 400 V tra fase-fase
  • prima dell’adeguamento alla rete europea, 220 V fase-neutro e 380 V fase-fase.

La configurazione di questi può essere collegata sia a stella oppure a triangolo dove è presente anche il cavo neutro N.

Tensioni Stellate. Le tensioni tra fase e neutro vengono chiamate tensioni stellate o di fase.
Dai morsetti 1,2,e 3, possono partire tre conduttori, che consentono di collegare il generatore ai carichi. Questi tre conduttori sono detti fili di linea, e le correnti che li attraversano, correnti di linea. Dal centro stella può partire un quarto filo, detto filo neutro al quale sono collegate le tre fasi. Il neutro, grazie a un collegamento a terra, ha un potenziale di 0 Volt. Hanno un valore efficace di 230 Volt
La connessione a stella viene utilizzata per la trasmissione a lunga distanza perché ha il neutro per la corrente di guasto.

Tensioni Triangolo o Concatenate: 𝑈12,𝑈23,𝑈31. Si collegano i tre ingressi dell’utilizzatore tra fase e fase (1-22-33-1) applicando così una tensione di 400 volt. Non si ha bisogno del neutro.
Le tensioni concatenate hanno valore efficace pari a √3 volte il valore efficace delle grandezze stellate: 𝑈 = √3𝐸. Infatti la generica tensione concatenata Uij=Ei-Ej è sfasata di 30° in anticipo rispetto ad Ei e di 150° in anticipo rispetto ad Ej.
Il triangolo formato da Ei, Ej e Uij è un triangolo isoscele in cui i due angoli uguali sono pari a 30°.
Sarà quindi:

La figura sottostante rappresenta un sistema di carico (impedenza Z) alimentato da un sistema trifase equilibrato a stella con neutro.



SCHEMA DI UTILIZZO

Nella figura un impianto termoelettrico che utilizza l’alternatore con immissione della tensione trifase in rete.
Il trasformatore alza la tensione per ridurre le dispersione lungo una linea con una resistenza propria. I = V/R.



SISTEMA TRIFASE – MONOFASE LA DIFFERENZA

Il sistema di alimentazione è principalmente classificato in due tipi, ovvero il sistema monofase e il sistema trifase. 

La differenza sostanziale tra la monofase e la trifase è che la monofase è composta da un conduttore e un filo neutro, mentre l’alimentazione trifase utilizza tre conduttori e un filo neutro per completare il circuito.

Le utenze monofase sono costituite quasi esclusivamente da impianti civili di piccole e medie dimensioni e dai sistemi di illuminazione, riscaldamento e motori elettrici. In Italia la distribuzione monofase avviene a 230 V (bassa tensione) a una frequenza nominale di 50 Hz.

Il sistema trifase è composto da quattro fili, tre conduttori e un neutro. I conduttori sono sfasati e distanziati di 120º l’uno dall’altro. Il sistema trifase viene utilizzato anche come sistema monofase. Per il basso carico, dall’alimentazione trifase è possibile prelevare una fase e un neutro.

  • Monofase. La tensione non è costante ma oscilla fra un minimo e un massimo, tra essi vi sono degli istanti in cui il valore sarà addirittura nullo. Nei sistemi monofase la funzione del neutro è quella di permettere il ritorno della corrente di fase. La corrente che scorre nel neutro è pari alla corrente che scorre nella fase. 
  • Trifase. L’alimentazione trifase è continua e non scende mai completamente a zero. La potenza del sistema trifase è pertanto maggiore del sistema monofase.

Ad un guasto nell’alimentazione ad una fase non c’è più passaggio di corrente. Nel sistema trifase ad un guasto su una linea, la alimentazione è garantita dalle altre due linee.



MOTORE A CORRENTE ALTERNATA – MOTORE A CORRENTE CONTINUA, LA DIFFERENZA

La macchina tipo che genera corrente continua è la dinamo.
Prima dell’invenzione della dinamo, l’unico modo di produrre corrente elettrica (continua) era tramite la pila e la batteria piombo-acido.

Dopo una decina di anni di utilizzo sperimentale, nel 1870, l’accoppiamento della dinamo ad una turbina idraulica diede il via alla produzione commerciale di energia elettrica

La dinamo è stata storicamente il primo generatore di corrente elettrica, ma oggi è poco utilizzata negli impianti industriali. Le principali applicazioni si hanno nella rete elettrica per tram e filobus.

La dinamo sfrutta il fenomeno della induzione magnetica come i motori sincroni e asincroni.
La differenza sostanziale è che la parte fissa della dinamo è costituito da una magnete senza avvolgimenti unicamente preposta a creare un campo magnetico e una parte mobile messa in rotazione da un albero motore, avvolta da spire nella quale verrà indotta una forza elettro motrice sinusoidale, una corrente indotta.

In sintesi una dinamo è costituita dai seguenti elementi:

  • Rotore, una o più spire conduttrici
  • Statore costituito da un magnete
  • Albero rotore su cui è avvolta la spira o le spire del Rotore

La differenza di potenziale nella singola spira varia con legge sinusoidale con l’angolo di rotazione. Cambia il segno ogni mezzo giro producendo corrente alternata. 

  • V(t) = EM sen(ωt) dove EM = Blω R (l=lunghezza spira, R=raggio della spira)
  • (t) = I0 sen(ωt) è il valore della corrente dove I0 è il suo valore massimo

La trasformazione in corrente continua DC

Innanzi tutto diciamo che, generalmente nella sua costruzione originaria, sulla parte fissa non ci sono spire, è un magnete senza avvolgimenti che serve solo a generare un campo magnetico.

2024-03-11_18h35_06

Per avere una corrente continua è necessario connettere i capi della spira ad un oggetto chiamato “collettore” o “commutatore”, calettato sul rotore e solidale ad esso. Attraverso un contatto strisciante con spazzole, scambia i capi della spira ogni mezzo giro mantenendo la tensione in uscita dello stesso segno.

Schematicamente una dinamo può essere rappresentata da un indotto con solo due semi spire ortogonali tra loro collegate a lamelle chiamate collettori a loro volta a contatto con due spazzole.

La corrente viene prelevata solo nel momento di massima induzione (quando cioè l’area del piano delle spire è perpendicolare alle linee del campo di forza).

In questo modo ogni spazzola riceve sempre corrente nello stesso verso ottenendo così una tensione di uscita quasi costante.

Criticità: Per motivi di corretto funzionamento ed efficienza energetica, le realizzazioni reali sono leggermente più complesse.
Sono installate diverse spire avvolte sul rotore lungo i 360°, ognuna delle quali deve commutare i propri capi ogni mezzo giro con la spazzola. Perciò, per potenze superiori a pochi watt, anche lo statore (quello che genera il campo magnetico) è “avvolto”
Lo sfregamento dei collettori con le spazzole può generare pericolose scintille con l’accumulo di materiale sotto di esse che possono impedire il corretto funzionamento della dinamo.

Ritorna a Ingegneria Ritorna a Home Page
Pubblicato in Attualità, Fisica, Scienza | Contrassegnato , , | Lascia un commento

Idroelettrico, un impianto a batteria ricaricabile, pulito e sostenibile.



Premessa Energia idroelettrica Potenza di una centrale idroelettrica
Funzionamento Il bacino La diga La condotta forzata
La turbina Il generatore Il trasformatore L’idroelettrico in Italia
Vantaggi Svantaggi Sicurezza Schema funzionale



PREMESSA

Si fa un gran parlare di energia pulita, rinnovabile e sostenibile. Poi installiamo pannelli solari su aree sottraendole alla agricoltura, ovvero alla alimentazione umana e animale. Poi installiamo torri eoliche che deturpano e violentano la natura.
Di difficile smaltimento.

Poi costruiamo auto elettriche con terre rare e metalli rari i cui processi di estrazione, produzione e smaltimento sono tutt’altro che green. Trasformando profondamente l’ambiente generando una forma di inquinamento che prende il nome di Impatto Ambientale.

Voltaico ed eolico sono per nulla sostenibili. Di fatto hanno stravolto l’ambiente, contribuiscono in maniere modesta al fabbisogno di energia senza apportare apprezzabili benefici.

Per sostenibilità sociale si intende il rispetto dell’uomo e dell’ambientale, della qualità della vita da lasciare alle generazioni future.
Principi che fotovoltaico, eolico ed elettrico non soddisfano. Tranne quello commerciale.



ENERGIA IDROELETTRICA

Tra le fonti rinnovabili l’energia idroelettrica è quella oggi più diffusa e sicuramente la più antica, meno inquinante.

Le centrali idroelettriche sono delle “batterie” ricaricabili giganti di energia elettrica.

Per ricavarla basta un bacino artificiale o la presenza di uno naturale per accumulare l’acqua, energia potenziale. Niente pannelli solari, esposizioni al sole, niente semiconduttori, niente accumulatori, inverter. Niente gigantesche pale che catturano il vento che non c’è, del voltaico del sole che non c’è.
Solo acqua.

L’energia idroelettrica, anche detta idraulica, rientra tra i tipi di energia rinnovabile, dato che si crea grazie allo spostamento di masse d’acqua, e di energia alternativa, dato che non utilizza fonti fossili.

Lo scopo di una centrale idroelettrica è, quindi, quello di sfruttare l’energia idraulica contenuta dall’acqua per ottenere energia elettrica. Questo passaggio non avviene direttamente, ma richiede una serie di trasformazioni prima che l’energia contenuta potenzialmente dall’acqua possa divenire elettricità.



POTENZA DI UNA CENTRALE IDROELETTRICA

L’energia contenuta dall’acqua prende il nome di Energia Potenziale.
L’energia potenziale posseduta da una massa d’acqua di volume ‘V’ posta ad una altezza ‘H’ è pari a:

E = γ V H

dove γ è il peso specifico dell’acqua pari a 9810 N/m3

Tale energia potenziale viene opportunamente convertita in energia cinetica attraverso condotte o canali.
La potenza teorica disponibile si ottiene dividendo la energia E per il tempo ‘t’ di funzionamento: E = P t e convertendo il volume ‘V’ in portata V = Q t, la potenza disponibile è:


P = γ Q H η


dove η è il rendimento totale del generatore.

La potenza è quindi in funzione della portata Q e dal salto H (il dislivello tra il serbatoio, bacino, e la centrale di trasformazione), del rendimento del trasformatore, delle perdite in condotta che generalmente è dello 0,8 circa.
Niente batterie.



FUNZIONAMENTO

Una centrale idroelettrica deve essere realizzata con alcuni elementi fondamentali. Gli elementi costituenti sono:

  1. bacino o serbatoio;
  2. diga;
  3. condotta forzata;
  4. turbina;
  5. generatore;
  6. trasformatore;
  7. opere di restituzione.
  • In una centrale idroelettrica, l’acqua viene convogliata in una condotta, detta forzata, in modo che per la pressione e per la forza di gravità, l’acqua inizi a muoversi verso il basso sempre più velocemente.
  • L’energia potenziale dell’acqua diventa così Energia Cinetica.
  • L’acqua cadendo impatta contro una gigantesca turbina facendola ruotare. L’Energia Cinetica cambia il suo stato diventando Energia Meccanica.
  • La turbina è collegata a un generatore elettrico, l’Alternatore che, trasforma l’Energia Meccanica della turbina in Energia Elettrica, completando il ciclo.

Le centrali sono strutture poste più o meno a valle dell’invaso per sfruttare la massima energia potenziale disponibile.



Il bacino

E’ un invaso d’acqua ottenuto mediante lo sbarramento del corso di un fiume. Può essere naturale (lago) o artificiale e la sua forma è determinata dalle caratteristiche geologiche della zona in cui insiste. Altre caratteristiche da tener presenti nella formazione di un bacino idrografico sono la densità dei corsi d’acqua minori, le precipitazioni annuali e stagionali, il tipo di terreno e di vegetazione, oltre che le opere umane.



La diga

E’ l’opera di sbarramento di un corso d’acqua e consente di formare il bacino o serbatoio. E’ dotata di opere di imbocco, di gallerie, di opere di sfioro dell’acqua in eccesso e di opere di scarico. Le dighe si possono dividere in due grandi categorie:

  • diga a gravità;
  • dighe ad arco.

Le prime sono strutture massicce a geometria semplice con asse rettilineo e sezione di forma triangolare. La resistenza alla spinta dell’acqua è dovuta essenzialmente al peso della costruzione stessa.

Le seconde  resistono alla spinta idrostatica delle acque d’invaso, trasferendola sulle pareti laterali della struttura. In questo caso hanno forma convessa e possono essere costruite solo per sbarrare valli non molto larghe con fianchi rocciosi a cui la diga è ancorata

.In una centrale idroelettrica, gli organi di chiusura utilizzati possono essere di tre tipi: valvole a farfallavalvole a rotativa e valvole a fuso.



La condotta forzata

OIP E’ costituita essenzialmente da tubazioni che possono essere realizzate in metallo o calcestruzzo armato. Queste, generalmente, sono costruite all’interno della montagna (in galleria) o possono scorrere anche all’esterno sul crinale della stessa. All’imbocco, sono munite di organi di chiusura e di sicurezza che servono a regolare la portata dell’acqua, e alla base le paratoie di intercettazione delle acque che hanno garantiscono il funzionamento delle turbine filtrando o rallentando la spinta dell’acqua. Ancora più in basso sono posti appositi organi di regolazione, connessi direttamente con le turbine che, hanno lo scopo di regolare la portata dell’acqua.



La turbina

Dal punto di vista costruttivo, la turbina è l’elemento più importante della centrale.

E’ la macchina che converte l’energia cinetica e/o potenziale di un fluido.
E’ costituita da un complesso detto generalmente stadio, formato da una parte fissa chiamata distributore e una parte mobile detta girante o rotore.
Il fluido in movimento entra nella turbina, regolato mediante il distributore e agisce sulle pale del rotore mettendolo in movimento. Il movimento rotatorio del girante viene trasferito mediante un asse detto albero a un alternatore che produce energia elettrica.

Le turbine si distinguono a seconda

  • il salto,
  • ad azione se sono a contatto con l’aria e alimentate dalla energia cinetica dell’acqua
  • a reazione se sono immerse nell’acqua

TURBINE PELTON

Utilizzata di solito con alti salti (50-1300 metri) e piccole portate. Sono costituite da un distributore a uno o più ugelli da dove viene iniettata l’acqua (max 6) in relazione alla portata da inviare alla girante e da una ruota. Ogni ugello crea un getto, la cui portata è regolata da una valvola a spillo.

TURBINE FRANCIS

Utilizzata di solito con medi o bassi salti (da 10 a 250 metri) e con portate medie. In queste turbine l’acqua raggiunge la girante tramite un condotto a chiocciola, poi un distributore, ovvero dei palettamenti sulla parte fissa, indirizzano il flusso per investire le pale della girante.

TURBINE KAPLAN

Utilizzata di solito con grandi portate e bassi salti (da 5 a 30 metri). Le pale della ruota nella Kaplan sono sempre regolabili, mentre quelle del distributore possono essere fisse o regolabili. Quando sia le pale della turbina sia quelle del distributore sono regolabili, la turbina è una vera Kaplan (o a doppia regolazione); se sono regolabili solo le pale della ruota, la turbina è una semi-Kaplan.



Generatore

 L’alternatore e’ un generatore di corrente elettrica. È costituito da due parti fondamentali, una fissa e l’altra rotante, dette rispettivamente statore e rotore, su cui sono disposti avvolgimenti di rame isolati. Normalmente l’alternatore lo ritroviamo in tutti i tipi di centrali per la produzione di energia elettrica perché riesce a trasformare l’energia meccanica di una turbina (idraulica, eolica, a vapore, ecc.) in energia elettrica.



Trasformatore

E’ una macchina elettrica che serve a trasferire, energia elettrica a corrente alternata da un circuito ad un altro modificandone le caratteristiche. E’ formato da un nucleo di ferro a cui sono avvolte spire di rame in due diversi avvolgimenti, dei quali uno riceve energia dalla linea di alimentazione, mentre l’altro è collegato ai circuiti di utilizzazione.

OPERE DI RESTITUZIONE – sono costituite da un canale o galleria, che attraverso uno sbocco, restituiscono le portate utilizzate al corso d’acqua.



Idroelettrico in Italia

In Italia, nel 2019 il 41% dell’energia da fonti rinnovabili è stata prodotta con l’idroelettrico (circa il doppio del fotovoltaico, e dell’eolico). Ad oggi esistono quasi 4.300 impianti (con impiegate oltre 15mila persone), che producono ogni anno 46 Twh (Terawattora).

Negli ultimi anni abbiamo aumentato del 10% la potenza, mentre le installazioni sono aumentate addirittura del 78%.

Non va sottovalutato peraltro il contributo di questo settore nel creare nuovi posti di lavoro, dato che oggi sono circa 15.000 gli addetti impiegati per il funzionamento e la manutenzione di questi impianti.



Vantaggi.

I vantaggi li abbiamo già visti:

  • Energia rinnovabile: gli invasi si ricaricano da soli
  • Disponibile fino a quando avremo acqua dolce o salata. La pioggia e la neve garantiscono una continua (e gratuita) disponibilità della materia prima
  • Basso impatto ambientale
  • Economica: perché una volta costruiti gli impianti, le dighe e tutto il necessario non hanno bisogno nient’altro che dell’acqua e manutenzione ordinaria
  • Tempi veloci, perché una centrale idroelettrica riesce a passare dall’impianto fermo alla massima velocità in pochi minuti.
  • Continuità di funzionamento. Sopportano periodi di siccità e assenza di neve


Svantaggi

Risulta molto difficile trovare gli svantaggi, tipo impatto ambientale dal momento che queste critiche vengono generalmente rivolte da chi sostiene il fotovoltaico e l’eolico a forte Impatto Ambientale.

Una critica curiosa l’ho letta e la voglio riportare.

  • Impatto in termini climatici delle centrali idroelettriche. I sedimenti sul fondo si riscaldano e potrebbero favorire un’attività microbiotica che rilascia metano nell’atmosfera.

In Europa, i nuovi impianti hanno impatti climatici assolutamente trascurabili, e rappresentano una fonte di energia rinnovabile preziosa.



Sicurezza

Il Programma di ricerca Sicurezza delle dighe parte dalla progettazione, alla prevenzione, alla manutenzione

PROGETTAZIONE

  • Migliorare le basi tecniche per garantire la sicurezza degli impianti di accumulazione. La stabilità delle fondamenta, delle spalle e dei versanti nella zona circostante la diga, nonché degli impianti accessori importanti per la sicurezza (dispositivi di scarico, paratoie).
  • La sicurezza delle opere di sbarramento (dighe di sbarramento, dighe di protezione o sbarramenti fluviali) riveste un ruolo centrale.

EVENTI NATURALI ESTREMI

  • Migliore stima degli effetti delle piene e dei terremoti sulle dighe.
  • Migliore valutazione del comportamento di una diga in caso di eventi naturali estremi e stima dei possibili malfunzionamenti.

INVECCHIAMENTO

  • Migliore comprensione dei processi di invecchiamento delle dighe (reazione alcali aggregati).
  • Valutazione delle ripercussioni dei processi di invecchiamento sul comportamento e la stabilità delle opere di sbarramento.
  • Sviluppo di procedure per la valutazione di eventuali contromisure.

VIGILANZA

  • Sviluppo e impiego di nuovi metodi per migliorare la vigilanza delle dighe.
  • Perfezionamento di metodi analitici per una migliore interpretazione delle osservazioni.


SCHEMA FUNZIONALE

Ritorna a Ingegneria Ritorna alla Home Page
Pubblicato in Ambiente, Attualità, Scienza, Tecnologia | Contrassegnato , , , | Lascia un commento

Terre rare, tutto quello che devi sapere



Cosa sono le Terre Rare Perché sono chiamate rare
Tavola periodica Lantanidi Caratteristiche chimiche
A cosa servono Un’arma geopolitica
Estrazione delle terre rare Le terre rare sono green?
Quali soluzioni contro l’inquinamento Conclusione



COSA SONO LE TERRE RARE

Il termine Terre Rare (Rare Earth Elements, REE), coniato dall’Unione Internazionale di Chimica Pura e Applicata (IUPAC), viene utilizzato per indicare un gruppo di 17 elementi chimici della tavola periodica, precisamente dal numero 57 al 71, oltre al 21 e 39.



PERCHE’ SONO CHIAMATE RARE

Si chiamano Terre Rare, ma sono in realtà metalli e non sono affatto rare. Sono, infatti, relativamente abbondanti nella crosta terrestre almeno quanto il rame che, invece, è un metallo comune.

Ciò che giustifica l’aggettivo “rare” è la loro bassa concentrazione: da decine a poche centinaia di parti per milione (ppm) della massa delle formazioni rocciose.

Piuttosto, a essere rari sono i giacimenti economicamente sfruttabili e ancor più rari sono i giacimenti ricchi di terre rare pesanti, il vero e proprio miraggio per la transizione energetica.

Il problema della loro acquisizione da parte delle compagnie minerarie riguarda proprio il ritrovamento di concentrazioni sufficienti da rendere economicamente praticabile estrazione e lavorazione.



TAVOLA PERIODICA

Tabella 1

Un elemento chimico è un atomo caratterizzato da un determinato numero di protoni.
Gli elementi chimici sono i costituenti fondamentali delle sostanze e, fino al 2022, ne sono stati scoperti 118, dei quali 20 instabili in quanto radioattivi. Vengono ordinati in base al numero di protoni (numero atomico) nella tavola periodica degli elementi o tavola di Mendeleev.

La tavola periodica degli elementi è lo schema con cui sono ordinati gli elementi chimici sulla base del loro numero atomico Z e del numero di elettroni presenti negli orbitali atomici.

La tavola periodica è suddivisa in righe e colonne e a sua volta in gruppi e periodi.

Tabella 2

I gruppi sono rappresentati dalla colonne, i periodi dalla righe.

I gruppi A da IA fino a VIIIA delle colonne indica rappresentano il numero di elettroni di valenza nell’ultimo orbitale. Il gruppo IA (1 elettrone) (es l’idrogeno), il gruppo VIII (otto elettroni) con l’ottetto completo (es: Elio) detto dei gas nobili.
I gruppi B in azzurro sono gli elementi di transizione.

periodi (o serie) raggruppano gli elementi che si trovano sulla stessa riga della tavola periodica e vanno da 1 a 7. Ogni periodo incomincia con un elemento il cui atomo ha come configurazione elettronica esterna un elettrone di tipo ns, dove n è il numero quantico principale, e procedendo verso gli atomi successivi (più a destra sulla stessa riga). Il numero atomico Z aumenta di un’unità a ogni passaggio; dunque gli elementi dello stesso periodo hanno lo stesso livello energetico. 



LANTANIDI

Tabella 3

Per scoprire cosa sono le Terre Rare bisogna andare sulla tavola periodica degli elementi (Tabella 1).
Presto ci accorgiamo che non sappiamo da dove cominciare per individuarli. Le terre rare, infatti, sono metalli, ma ci sono metalli alcalini e metalli alcalini terrosi, i metalli di transizione, i metalli post transizione, i metalloidi, i metalli leggeri e i metalli pesanti, i metalli rari. Una giungla di metalli.

Di tutta questa gran quantità di metalli (escludendo i radioattivi) i metalli che interessano sono i metalli leggeri e pesanti a partire dal numero atomico 57 fino al numero atomico 71 (numero dei protoni).
Ebbene questi metalli andrebbero inseriti nella tavola degli elementi assieme ai metalli di transizione subito dopo il bario con numero atomico 56 prima dell’Afnio (Hf) con n.a. 72.
Questo significherebbe allungare in dismisura la tavola degli elementi. Ed ecco allora che le terre rare vengono classificate separatamente in una categoria a parte sotto la tavola degli elementi chiamandoli lantanidi.

I 14 elementi sono detti lantanidi perché seguono l’elemento chimico del lantanio (La) con peso atomico 57.

Per via di compattezza grafica, quindi, al di sotto della tavola periodica viene generalmente riportata una serie chiamata lantanidi.

La serie dei lantanoidi (in passato lantanidi) è costituita dai 15 elementi chimici, che sulla tavola periodica si trovano fra il bario e l’afnio. Essi costituiscono, insieme a scandio e ittrio, le cosiddette terre rare. Lo scandio e il promezio non rientrano in nessuna delle due categorie; il primo ha la massa atomica più bassa di tutti gli altri, il promezio a causa della sua radioattività.

In base al peso atomico, i magnifici 17 si raggruppano in Terre Rare Leggere e Terre Rare Pesanti. Sono difficilissime da separare l’una dall’altra.

clicca sulla immagine per ingrandire



CARATTERISTICHE CHIMICHE

Gli elettroni occupano prima gli orbitali atomici a minore energia, tra quelli disponibili, e poi gli altri.

Ad esempio l’idrogeno ha un solo elettrone che occupa la prima posizione nell’orbitale 1s. L’elio ha due elettroni che occupano le due posizioni nell’orbitale 1s.

2024-02-29_07h21_07

 Il litio (Lt) ha numero atomico Z=3. Pertanto, ha tre elettroni. I primi due elettroni si dispongono sull’orbitale 1s al livello energetico n=1 (numero quantico principale) mentre il terzo elettrone si dispone sull’orbitale 2s al livello energetico n=2. Quest’ultimo è un elettrone di valenza. E via dicendo.

Tutti i lantanoidi si collocano nel sottolivello interno 4f e mostrano sostanzialmente lo stesso comportamento e le stesse proprietà, rendendo molto difficile una loro separazione per via chimico-fisica.

L’orbitale 4 sta ad indicare il livello (n=4) e f il tipo di orbitale: s (sharp), p (principale), d (diffuso), f(fondamentale)

Il tipo degli orbitali f conferiscono loro una serie di proprietà magnetiche e ottiche molto interessanti. Caratteristica dei composti dei lantanoidi è la luminescenza.

Si trattava infatti di ossidi non comuni trovati all’interno di un particolare minerale, la galodinite. Da un punto di vista chimico presentano una spiccata capacità di fungere da conduttori e superconduttori, motivo per cui sono così importanti per le tecnologie e le comunicazioni.

La maggiore abbondanza di terre rare si trova associata a formazioni rocciose ricche di bastnasite e monazite.
La bastnasite o fluoro carbonato di cerio ha formula generale CeCO3(OH,F) ed è più ricca di terre rare leggere.
La monazite invece è un fosfato di cerio e lantanio, (Ce,La)PO4 , contenente una percentuale doppia o tripla di terre rare pesanti rispetto alla bastnasite.



A CHE COSA SERVONO

Servono principalmente per produrre magneti molto performanti.

Dall’economia rinnovabile a quella militare e aerospaziale, passando per il commercio di auto elettriche, e poi, ancora, la fibra ottica e la produzione di smartphone.

Le terre rare sono fondamentali per l’economia del presente e del futuro, nel mondo. Nel settore dell’automotive – specie per quello elettrico ed ibrido, ormai in ascesa – come magneti permanenti per le turbine eoliche e per la costruzione di motori elettrici; possono diventare fosfori per TV e LCD e più in generale sono importanti per la creazione di tutti i dispositivi elettronici di ultima generazione; inoltre servono per sviluppare tecnologie avanzatissime nel campo dell’aerospazio, della difesa e delle energie rinnovabili, ma anche nel settore medico, e perfino in quello petrolchimico, nel processo di raffinazione del petrolio greggio. Ad uso militare.

Batterie. Molti pensano che con terre rare si indichino tutti quegli elementi di difficile reperimento che servono per realizzare le batterie delle automobili. Non è così. Il cobalto, come il litio o il manganese, non sono terre rare.
A differenza delle terre rare l’estrazione del litio avviene in stagni o laghi salmastri, dove il minerale tende ad accumularsi, attraverso l’evaporazione forzata: l’acqua di questi bacini, o direttamente quella sotterranea, viene pompata e convogliata in grandi vasche di evaporazione molto simili alle saline artificiali. Qui, dopo diversi mesi, per azione dei raggi solari l’acqua evapora lasciando come precipitato una salamoia ricca in cloruro di litio.
L’eccesso di salamoia residua viene ri-pompato indietro nel lago salato, concentrando le sue acque a tal punto da renderle invivibili se non letali per le specie animali e vegetali al suo interno.

Le batterie al litio sono più costose rispetto ad altre: le variazioni di temperatura possono comprometterne l’efficienza, mentre il loro smaltimento e riciclaggio richiede delle attenzioni particolari. Il litio infatti pone alcuni problemi di sicurezza: se sottoposto a temperature elevate può surriscaldarsi, infiammarsi e in alcuni casi esplodere.

Motori elettrici. I magneti dei motori elettrici non utilizzano necessariamente le terre rare. Nei motori sincroni il rotore è formato ad una alternanza di magneti permanenti a polarità invertite, mentre per lo statore (parte fissa) il campo magnetico rotante viene ottenuto avvolgente fili di rame attorno allo nucleo di ferro. Nei motori asincroni si fa a meno di magneti permanenti. Sia il rotore che lo statore hanno avvolgimenti che inducono un campo magnetico che sfruttando la differente velocità di rotazione tra i due campi per “trascinare” il rotore.

In entrambi i casi le terre rare che hanno proprietà magnetiche proprie contribuiscono a potenziare le capacità magnetiche dei rotori e degli statori.

Nei motori elettrici miniaturizzati le terre rare danno la possibilità di ridurre la quantità di rame degli avvolgimenti occupando minor spazio.

Smartphone. La batteria al litio dello smartphone contiene circa 3.5 g di cobalto e circa 1 g di terre rare (neodimio, europio, terbio, cerio).



UN’ARMA GEOPOLITICA

Attualmente la Cina è l’esportatore di terre rare più importante al mondo. Seguono gli Stati Uniti – in risalita – e l’Australia.

La lotta di potere tra Stati Uniti e Cina, sembra non voler cessare e si è spostata in Groenlandia, il luogo con il sottosuolo più ricco di terre rare al mondo e ambitissimo dalle due superpotenze mondiali. 

Le ragioni di questa competizione sono soprattutto economiche; l’acquisizione delle maggiori quote del mercato.

la Cina ha costruito le fabbriche di produzione e raffinazione nei pressi delle miniere, in modo tale che la materia prima estratta potesse rapidamente raggiungerle. Una mossa astuta che ha permesso, insieme ai bassissimi costi della manodopera, di giocare a proprio vantaggio i bassi costi della produzione di terre rare.

In tale modo la Cina oggigiorno controlla l’intera filiera delle terre rare.
Nel caso in cui le tensioni internazionali dovessero diventare insostenibili, Pechino potrebbe chiudere i rubinetti delle REE, bloccare le esportazioni di questi materiali e provocare danni a uno o più Paesi terzi. Abbiamo un esempio del rubinetto del gas chiuso dalla Russia.
Gli effetti di una guerra commerciale a colpi di terre rare si preannunciano devastanti.



ESTRAZIONE DELLE TERRE RARE

Esistono varie tecniche per estrarre e isolare le terre rare dai giacimenti, ma una tra le più utilizzate è quella idrometallurgica. Questa, per semplicità, può essere riassunta in tre passaggi fondamentali:

  1. Dissoluzione – si estraggono le terre rare dalle rocce tramite l’utilizzo di acidi;
  2. Separazione – si separano tra loro le differenti REE per formare soluzioni concentrate;
  3. Generazione – si ottiene il prodotto finale, cioè il concentrato di ciascuna terra rara.

La dissoluzione prevede l’utilizzo di diverse tipologie di acido a seconda del tipo di elemento che si vuole isolare, così come la fase di separazione che può essere variabile da caso a caso.

Per avere un chilo di vanadio è necessario trattare circa 8 tonnellate di roccia; per un chilo di lutezio sono necessarie 200 tonnellate di roccia. In media, per ottenere una tonnellata di terre rare, si creano 2000 tonnellate di scarti di rocce, una proporzione certamente non incoraggiante.

Secondo l’Associazione cinese delle Terre Rare (C.S.R.E.), per ogni tonnellata di metalli rari estratti, vengono scartati tra i 9.600 e i 12.000 metri cubi di rifiuti sotto forma di gas, a loro volta contenenti polveri concentrate, acido fluoridrico, anidride solforosa e acido solforico.



LE TERRE RARE SONO ECOLOGICHE?

Come visto nei paragrafi precedenti, le terre rare ed il loro trattamento, pur essendo fondamentali per diversi settori nell’economia mondiale, comportano problemi di vario genere. Basti pensare che attualmente è possibile riciclarne meno dell’1% per via della mancanza quasi totale di poli e infrastrutture dedicate al settore. Numeri bassissimi, che evidenziano come ci sarà bisogno di decenni per creare una catena di recupero e riciclo efficiente delle terre rare.

Non solo: l’estrazione delle terre rare dal minerale in cui si trovano è complicatissima. Proprio per questo motivo per estrarre e isolare i materiali vengono utilizzate miscele di sostanze chimiche dannose per l’ambiente, che cambiano in base al territorio sul quale viene svolto il processo. Una raffinazione a più stadi, costosissima e pericolosissima anche per l’essere umano.

Per essere più specifici, lavorando una tonnellata di metalli vengono prodotte circa 2000 tonnellate di rifiuti altamente tossici per le falde acquifere e per i suoli.
Anche per questo e in virtù di standard ambientali più ferrei rispetto a Usa e Cina, l’Europa ha deciso di non lavorare le terre rare.

Come se non bastasse, cinque dei diciassette elementi chimici sarebbero a rischio per quanto riguarda la disponibilità di riserve mondiali: stiamo parlando di ’Indio, Gallio,  Tellurio (tutti e tre utili al settore fotovoltaico), Neodimio e Disprosio (utili invece al settore eolico), per via dell’alta crescita della richiesta negli ultimi anni.

Lavorare le terre rare, quindi, può avere un grosso impatto sull’ambiente: per separarle dagli altri minerali devono essere disciolte a più riprese in acidi, filtrate, ripulite, con un processo decisamente poco “verde”. Inoltre, la loro lavorazione emette prodotti tossici e anche radioattivi.

Malgrado questo, la super potenze Cina e Usa vanno avanti lo stesso.



QUALI SOLUZIONI PER EVITARE UN DISASTRO AMBIENTALE

Allo stato attuale non ce ne sono. Ci vorranno anni per trovare una soluzione per poi realizzarla su scala mondiale.

Lo scorso anno l’università Ludwig Maximilian di Monaco ha spiegato che, a seguito di una ricerca pluriennale, è possibile estrarre alcune delle 15 lantanoidi – le più grandi – attraverso un enzima batterico, il pirrolochinolina chinone (PQQ), che legandosi selettivamente ad esse, può essere sfruttato per separarle dalle miscele presenti nei metalli. In questo modo verrebbero aboliti i processi di lavorazione altamente nocivi per l’ambiente.



CONCLUSIONE

Ritorna a Green Deal Ritorna a Home Page
Pubblicato in Ambiente, Attualità, Natura, Scienze naturali | Contrassegnato , | Lascia un commento

Tutti i colori dell’idrogeno



In questo articolo saranno trattati i seguenti argomenti:

Cos’è l’idrogeno
Chi descrisse per primo l’idrogeno
Dove si trova in natura
Elettrolisi dell’acqua
Utilizzo dell’idrogeno
Tutti i colori dell’idrogeno
Idrogeno verde
Idrogeno giallo
Idrogeno blu
Idrogeno turchese
Idrogeno rosa
Idrogeno grigio
Idrogeno marrone
Idrogeno bianco, processo chimico, quantità stimata, estrazione
Costo
Processo produttivo idrogeno bianco
Cracking
Steam Reforming
Fracking
Conclusione



L’idrogeno (simbolo H) è il primo elemento chimico della tavola periodica di Mendeleev  (numero atomico 1) e il più leggero.


LA PRIMA OSSERVAZIONE

L’idrogeno biatomico gassoso H2 fu descritto formalmente per la prima volta da Theophrastus Von Hohenheim ((conosciuto con il nome di Paracelso 1493-1541), che lo ottenne artificialmente mescolando metalli con acidi forti. Paracelso non si rese conto che il gas infiammabile ottenuto in queste reazioni chimiche era costituito da un nuovo elemento chimico, chiamato in seguito idrogeno.


DOVE SI TROVA IN NATURA

L’idrogeno è l’elemento più abbondante dell’universo osservabile.

Ma, nonostante la sua abbondanza, è praticamente inesistente nella sua forma originale sulla Terra e richiede energia per essere liberato dalle forme materiali in cui si trova.

Allo stato libero, a pressione atmosferica e temperatura ambiente si trova sotto forma di gas biatomico avente formula H2 (diidrogeno), incolore, inodore, insapore e altamente infiammabile,

Allo stato legato è presente nell’acqua, (H₂O), il metano (CH₄) o l’ammoniaca (NH₃).e in tutti i composti organici e organismi viventi; inoltre è occluso in alcune rocce, come il granito, e forma composti con la maggior parte degli elementi.

Nell’industria si ottiene nel cracking degli idrocarburi; per elettrolisi dell’acqua, e con il processo del gas d’acqua.



ELETTROLISI

L’elettrolisi dell’acqua è un metodo semplice per produrre idrogeno. Una corrente a basso voltaggio che attraversa l’acqua forma ossigeno gassoso all’anodo ed idrogeno gassoso al catodo. Generalmente quando si produce idrogeno si impiega un catodo di platino o di un altro metallo inerte.

Per produrre 1 kg di idrogeno occorrono un 55-60 kWh di energia elettrica ed i costi di impianto variano tra a seconda della taglia dell’elettrolizzatore.

L’elettrolisi dell’acqua è ben nota da tempo per la produzione di laboratorio e di nicchia, ma è necessaria una massiccia produzione industriale se si vuol promuovere lo sviluppo dell’idrogeno.

Il processo di scissione della molecola dell’acqua in idrogeno e ossigeno può essere schematizzato come nella seguente figura.

Preparare una soluzione al 20% di Acido Solforico e acqua. Successivamente, dopo aver collegato gli elettrodi ad un voltametro, versare la soluzione preparata precedentemente nel sistema di vasi comunicanti e collegare gli elettrodi al generatore con una corrente di 12 volt.

2H2O+ 2e¯ H2 + 2OH¯ (Catodo)
2H2O O2 + 4H + 4e¯ (Anodo)
2H2O 2H2 + O2


Al Catodo avviene la reazione di RIDUZIONE; infatti gli ioni idrogeno acquistano elettroni e viene prodotto idrogeno gassoso.
Al Anodo: avviene la reazione di OSSIDAZIONE; gli ioni idrossido subiscono ossidazione e cedono elettroni producendo ossigeno gassoso.
Dalla reazione e dalla stessa esperienza di può notare che si formerà un volume di idrogeno doppio del volume di ossigeno.


UTILIZZO

L’idrogeno è usato attualmente sostanzialmente solo come agente chimico, nella produzione, per esempio, di ammoniaca e fertilizzanti, o per la raffinazione dei carburanti fossili. Ma può essere usato anche come vettore energetico, cioè nella veste di gas, in sostituzione, per esempio, del metano come carburante o combustibile.

Ma, a prescindere dall’uso che se ne farà, l’idrogeno naturale, a differenza dell’idrogeno prodotto dal gas naturale o dall’elettrolisi, impiegherebbe meno energia per essere estratto, non richiederebbe acqua e occuperebbe poco suolo, rispetto ad altre tecnologie rinnovabili.

Inoltre, la sua produzione non è soggetta a periodi di instabilità e potrebbe essere anche di natura rinnovabile.


TUTTI I COLORI DELL’IDROGENO

Verde, grigio e blu. Ma anche giallo, nero, viola, turchese e bianco. Negli ultimi anni le tecnologie di produzione dell’idrogeno hanno, in maniera più o meno ufficiale, trovato un modo per distinguersi attraverso una tavolozza di colori. Una classificazione in parte necessaria per indirizzare gli investimenti nella nascente Hydrogen Economy, ma anche per rendere facilmente distinguibile al grande pubblico la provenienza del vettore H2.

Il più noto è sicuramente l’idrogeno verde, sinonimo di una produzione alimentata da fonti, per l’appunto, verdi come il fotovoltaico, l’eolico o l’energia marina. Da contrapporre all’idrogeno grigio, ossia quello più tradizionale e diffuso, ottenuto grazie ai carburanti fossili. Ma tra il verde e il grigio è emerso rapidamente uno spettro di possibilità, ognuna delle quali connessa direttamente a nuove ricerche o tecnologie di generazione.



IDROGENO VERDE – Si ottiene dall’elettrolisi, tecnologia che scinde tramite l’elettricità le molecole d’acqua in ossigeno (O2) e idrogeno (H2). Per ottenere questa classifica, tuttavia, l’energia elettrica deve essere fornita esclusivamente da impianti rinnovabili. Ad oggi si tratta della forma più costosa ma anche di quella più sostenibile sul fronte ambientale e totalmente a zero emissioni.



IDROGENO GIALLO – Questo colore è un concetto relativamente nuovo, sottocategoria per molti versi di quello verde. In questo caso il vettore è generato da elettrolisi alimentata dall’energia solare, anche in maniera diretta. Non si tratta però di classificazione universalmente condivisa dal momento che alcuni usano questo colore per indicare l’idrogeno generato dall’elettrolisi dell’acqua con elettricità della rete (ossia fornita da fonti miste, comprese le fossili).



IDROGENO BLU – Il colore identifica il vettore prodotto attraverso lo steam reforming – un processo che utilizza il vapore per separare le molecole di H2 dal gas naturale – con successiva cattura delle emissioni di carbonio generate. Definito da alcuni come carbon neutral in virtù dell’utilizzo del CCUS (Carbon Capture and Storage), trova la sua classificazione migliore come idrogeno low carbon, ossia a basse emissioni. Va considerato infatti che le attuali soluzioni di CCUS catturano solo il 90% della CO2; e che ovunque si estragga gas naturale esiste sempre una perdita dello stesso in atmosfera.



IDROGENO TURCHESE – Il vettore viene estratto dal metano tramite pirolisi. Il processo prevede di riscaldare il gas in assenza di ossigeno per rompere termicamente i legami chimici e ottenere idrogeno e carbonio solido. Quest’ultimo potrebbe essere utilizzato come materia prima (ad es. come nerofumo nella produzione di pneumatici). Il processo in sé non produce emissioni dirette di CO2 ma considerando l’intero ciclo di vita è legato a significativi livelli di gas serra.



IDROGENO ROSA – Noto anche come Idrogeno Viola o Idrogeno Rosso, questo colore identifica la produzione da elettrolisi alimentata da energia nucleare. Sebbene ci siano poche emissioni di carbonio prodotte con questo metodo possono esserci altri impatti ambientali come la produzione di scorie nucleari radioattive.



IDROGENO GRIGIO – L’idrogeno grigio viene prodotto attraverso lo steam reforming del metano allo stesso modo dell’idrogeno blu. In questo caso tuttavia tutte le emissioni generate dal processo vengono rilasciate in atmosfera.



IDROGENO MARRONE – Chiamato anche Idrogeno nero, è prodotto tramite gassificazione del carbone. Si tratta della versione più dannosa per l’ambiente dal momento che il processo rilascia sia CO2 che monossido di carbonio.



IDROGENO BIANCO – Recentemente è stato scoperto per caso qualcosa che ha il potenziale per contribuire a salvare il pianeta dall’emergenza climatica.

Mentre si era alla ricerca di combustibili fossili nel nord-est della Francia, due scienziati entrambi direttori di ricerca del laboratorio Geo Ressources del Centro nazionale di ricerca scientifica francese (CNRS) si sono imbattuti in quello che sembra essere il più grande giacimento di idrogeno bianco del pianeta, che è difficile che si accumuli in grandi quantità nel sottosuolo. O almeno, questo è quanto si riteneva finora.

L’idrogeno bianco è generato da un processo geochimico naturale nelle profondità della crosta terrestre.

Nel sottosuolo, l’idrogeno bianco è naturalmente presente nella crosta e nel mantello terrestre, dove si ritiene venga continuamente prodotto attraverso reazioni chimiche legate principalmente all’ossidazione dei minerali ferrosi.

Una reazione chimica data dall’incontro tra acqua calda e rocce ricche di ferro.

Sull’origine dell’idrogeno bianco si sa poco. La teoria più accreditata la fa risalire alla cosiddetta diagenesi, ovvero all’effetto di alcuni minerali ricchi di ferro (per esempio l’olivina), che in particolari condizioni comportano la scissione della molecola dell’acqua in idrogeno e ossigeno, con quest’ultimo che si lega al minerale. Un’altra teoria, non necessariamente alternativa, si basa sulla radiolisi, ovvero sulla scissione dell’acqua in idrogeno e ossigeno causata dalla radioattività naturale

Ci sono circa 5mila miliardi di tonnellate di idrogeno naturale immagazzinato nel sottosuolo del pianeta.

L’idrogeno naturale ha pertanto il potenziale per causare il più grande sconvolgimento del sistema energetico globale nei prossimi decenni.

La sua catena del valore è simile a quella di produzione di gas naturale. Comprende la prospezione, la selezione dei siti, la perforazione, l’estrazione e la separazione dei prodotti. Durante la sua produzione, vengono create poche emissioni di carbonio, ma, come l’idrogeno rosa, potrebbe possedere altri impatti ambientali.



COSTO

L’idrogeno naturale, detto “bianco” o “geologico”, è infatti competitivo a livello di costi rispetto a tutti gli altri  colori  di questo gas: il costo dell’H2 naturale, secondo un documento pubblicato a febbraio 2023 su richiesta della Commissione europea dall’iniziativa Earth2, potrebbe aggirarsi intorno a 1 euro al chilo, cioè a livelli equivalenti all’idrogeno grigio, derivato da gas metano, mentre l’idrogeno verde, da rinnovabili, ha costi in genere superiori a 6 euro/kg.



PROCESSO PRODUTTIVO DELL’IDROGENO BIANCO.

Oggi non esiste un processo estrattivo e di purificazione a questi costi, per cui sembra utopistico immaginare che possa costare così poco.

Non ci sarà una produzione su larga scala prima della fine del decennio. I programmi che si dice siano i più avanzati non saranno operativi prima del 2028/2030.



Cracking

Il cracking (in italiano piroclàsi o piroscissione) in chimica è un processo attraverso il quale si ottengono idrocarburi paraffinici leggeri quali le benzine, per rottura delle molecole di idrocarburi paraffinici pesanti.

La rottura di grandi molecole in molecole più piccole può ottenersi per via termica o catalitica dove i legami chimici si rompono in maniera simmetrica. La decomposizione avviene nel campo di temperature 400 – 800°C, e le molecole delle sostanze organiche vengono trasformate in elementi più semplici.

Nei vari processi produttivi, nella degassificazione avvengono due reazioni fondamentali, quali l’ossidazione e la riduzione che danno luogo alle seguenti reazioni chimiche con produzione di idrogeno oltre il monossido di carbonio, l’idrogeno, il metano, l’anidride carbonica e l’azoto, con un potere calorifico che va da 4 a 6 MJ/Nm3.:

C+CO2+calore→2CO
CO+H2O+calore→CO2+H2
C+H2O→CO +H2
C+2H2→CH4



Steam Reforming (SMR)

Lo steam reforming del metano è un processo ben sviluppato ed altamente commercializzato e attraverso il quale si produce circa il 48% dell’idrogeno mondiale. I costi dello SMR sono notevolmente inferiori a quelli dell’elettrolisi e competitivi con quelli delle altre tecnologie, esso comporta inoltre un ridottissimo impatto ambientale.

Tale processo consiste nel far reagire metano (CH4) e vapore acqueo (H2O) ad una temperatura intorno a 700–1100 °C, per produrre syngas (una miscela costituita essenzialmente da monossido di carbonio e idrogeno), secondo la reazione:

CH4 + H2O → CO + 3 H2 -191,7 kJ/mol

Il calore richiesto per attivare la reazione è generalmente fornito bruciando parte del metano.

Ulteriore idrogeno può essere recuperato dal monossido di carbonio (CO) attraverso la reazione di spostamento del gas d’acqua, che si ottiene a circa 450 °C:

CO + H2O → CO2 + H2 + 40,4 kJ/mol

Il processo è composto da diversi stadi :

  1. Si preferisce operare sotto una pressione di  30 – 40 bar benchè la reazione  CH4 + H2O à CO + 3H sia sfavorita da un aumento di pressione,  per ridurre le dimensioni delle apparecchiature ;
  2. Segue una desolforazione perché i prodotti solforati risultano velenosi per i catalizzatori.
  3. Il gas passa al reforming primario con vapore a 900 °C su catalizzatori a base di nichel su una matrice di allumina in reattori tubolari riempiti di catalizzatori inseriti in forni che forniscono l’energia necessaria: si ottiene una conversione del 70% massimo; il vapore inibisce il deposito di particelle carboniose.
  4. Segue il reforming secondario  in cui si completa la conversione con l’aggiunta di aria per cui si ha una ossidazione parziale del gas non  ancora reagito. Il carbonio si trova in forma di CO che va eliminato prima convertendolo in CO in due stadi: nel primo si opera a temperature attorno ai  400 °C per sfruttare la cinetica  di catalisi : si usano catalizzatori a base di ossidi di ferro e cromo; nel secondo stadio si opera a T più basse ( circa 200°C) per sfruttare l’esotermicità della reazione con catalizzatori a base di allumina e ZnO ed agiungendo vapore.
  5. La CO2 viene poi rimossa per assorbimento con soluzioni alcaline a base di monoetanolammina. I residui carboniosi vengono eliminati  mediante una metanazione su catalizzatori a base di ferro e nichel in reattori a letto fisso a350°C.
  6. Infine si passa a una disidratazione per raffreddamento e passaggio su setacci molecolari .

Soluzioni di  bioetanolo e metanolo possono a loro volta  alimentare celle a combustibile (fuel cells) evitando il ricorso all’idrogeno la cui manipolazione solleva sempre problematiche complesse.: le fuel cells sono impianti in cu l’energia chimica vien trasformata in energia elettrica.



Fracking

Con il termine inglese fracking si intende una particolare tecnica estrattiva di petrolio e gas naturale.
Si tratta di un metodo impiegato per agevolare la fuoriuscita del petrolio o dei gas presenti nelle formazioni rocciose per consentirne un recupero più rapido e completo.

Il metodo sfrutta la pressione dei liquidi per provocare delle fratture negli strati rocciosi più profondi del terreno. Per questo motivo è conosciuto anche con il nome di fratturazione idraulica. Fessure che poi vengono allargate, immettendo grandi quantitativi di acqua sotto pressione, e mantenute aperte con sabbia, ghiaia e granuli di ceramica.

Sostanzialmente, le fasi del fracking sono tre:

  1. trivellazione (il pozzo viene perforato orizzontalmente, in profondità, a circa 3.000 metri. Il canale così creato viene rivestito con un tubo di cemento nel quale si fanno saltare cariche esplosive per generare dei fori che lasceranno poi passare i liquidi e le sostanze chimiche nel terreno);
  2. pompaggio (completato il pozzo, vengono pompati nel terreno fino a 16.000 litri al minuto di liquidi in pressione. L’immissione di questi liquidi provoca spaccature nel terreno ‘liberando’ lo shale gas, il quale risale in superficie attraverso il tubo);
  3. raccolta (fuoriuscito il gas, viene convogliato in gasdotti ed inviato alla raffinazione).

Svantaggi

  • Il frackig richiede un dispendio di acqua enorme, comportando ‘costi’ ambientali significativi.
  • l’uso di sostanze chimiche potrebbe rivelarsi dannoso se dovesse contaminare le falde acquifere limitrofe
  • le fughe di metano che potrebbero verificarsi durante la fase di estrazione/raccolta
  • infine si teme possa esserci una correlazione tra il fracking e le scosse di terremoto



CONCLUSIONE

L’idrogeno è costoso da produrre in maniera sostenibile tramite l’elettrolisi dell’acqua.

La via più economica è produrlo dal metano, il che porta all’emissione di elevate quantità di CO2
Estrarlo da riserve naturali sarebbe una terza via, molto più sostenibile e più competitiva.

La recente scoperta di ingenti giacimenti in Mali e in Francia di idrogeno bianco potrebbe essere un’alternativa all’idrogeno verde il cui costo è stimato in 6 euro per chilogrammo.
E’ stato stimato che l’idrogeno bianco possa costare 1 euro al chilogrammo.
Tuttavia, dal momento che attualmente è ancora allo studio il metodo di estrazione più economico è difficile fare previsioni.

Tra i diversi processi il più adatto è lo steam reforming che ha i costi più bassi, facendo reagire il materiale estratto con H2O ad alte temperature.

Non c’è che da aspettare.

Ritorna a
Green Deal
Ritorna a
Home page
Pubblicato in Ambiente, Attualità, Scienza, Tecnologia | Contrassegnato , , , , | Lascia un commento

Turbogetto – Il motore a reazione degli aerei

Durante la Seconda Guerra Mondiale, la Germania è stata l’unica nazione ad aver sviluppato velivoli con motore a reazione; con la caduta di quest’ultima, la tecnologia è stata ripresa dagli Stati Uniti e dalla Russia che hanno migliorato il progetto iniziale, rivoluzionando così il viaggio aereo.

Il Motore a Reazione ha permesso di sviluppare velivoli con la capacità di viaggiare più velocemente rispetto a quelli con motori a petrolio o ad elica. La maggior parte dei velivoli attualmente in uso sono provvisti di motori turbogetto, turbovento, turboelica.

Il motore degli aerei a reazione sfrutta una corrente di gas ad altissima velocità che, in uscita dal propulsore, fornisce per reazione una spinta in avanti.



L’aria viene aspirata dall’esterno tramite un compressore (avviato da un motorino ausiliario) che la comprime nella camera di scoppio. Qui entra il combustibile, cioè il cherosene, si miscela con l’aria, brucia e produce gas ad alta temperatura e pressione.
Il gas fa girare una turbina, che aziona il compressore durante il volo, ed esce poi dagli ugelli posteriori alla velocità di 500-600 metri al secondo.

La spinta che permette agli aerei di volare proviene in realtà dall’energia chimica del cherosene, che reagisce con l’ossigeno dell’aria, cioè brucia, producendo energia termica.
Il propulsore fornisce così l’energia meccanica (12 chilowattora per ogni chilo di cherosene) necessaria per l’accelerazione e il decollo, e vincere le resistenze dell’aria e la gravità durante il volo.

Turbogetto

Il turbogetto è il più semplice e il più vecchio dei motori a reazione, soppiantato dal turboventola. Si tratta di un motore a ciclo continuo (o aperto) che sfrutta il Ciclo di Brayton-Joule per produrre la spinta necessaria a far muovere un aereo secondo il terzo principio della dinamica o principio di azione e reazione.

2024-01-10_06h49_59

Il ciclo di Brayton-Joule è un ciclo termodinamico che costituisce il riferimento ideale per il funzionamento delle turbine a gas.

Seguiamo il ciclo:
1-2 compressione adiabatico del gas, con aumento della pressione e temperatura, e conseguente diminuzione del volume. Durante questa trasformazione si spende un lavoro di compressione l12.

2-3 isobara (pressione costante) durante la quale si somministra una quantità di calore qs aumentano di conseguenza temperatura e il volume.

3-4 espansione adiabatica con diminuzione della pressione e temperatura e conseguente aumento del volume. L’espansione adiabatica è prolungata teoricamente fino alla pressione p1 con un guadagno rispetto all’equivalente ciclo diesel corrispondente all’area in figura. Questa costituisce la fare attiva del ciclo e si ottiene un lavoro l34. Il lavoro utile è dato da l34-l12.

4-1 si sottrae una quantità di calore q1 a pressione costante. Diminuiscono temperatura e volume a pressione costante. Il gas ritorno allo stato fisico iniziale.

Il rendimento del ciclo di Brayton-Joule è.

2024-01-10_07h40_57

Lo schema semplificativo si un impianto a turbina a gas è rappresentato dallo schema a lato.

  • aspirazione aria
  • un compressore in cui si comprime aria
  • una camere di combustione cc in cui brucia il combustibile a contatto con l’aria che si è riscaldata nel compressore a seguito dell’aumento di pressione
  • una turbina con relativo alternatore di produzione elettrica
  • il motore di lancio serve solo per avviare l’impianto: infatti per alimentare il compressore che è una macchina operatrice c’è bisogno di un motore.

Successivamente quando l’impianto funziona a regime, il compressore prende il lavoro direttamente dalla turbina che è disposto sullo stesso asse.

Bisogna osservare che la fase 4-1 è puramente teorica: essa non avviene in un organo dell’impianto, ma avviene in atmosfera,

Lo schema

  1. ingresso dell’aria;
  2. compressore di bassa pressione;
  3. compressore di alta pressione;
  4. combustore;
  5. scarico;
  6. sezione calda;
  7. turbina;
  8. camera di combustione;
  9. sezione fredda;
  10. presa d’aria.

In sintesi:
L’aria atmosferica viene prima aspirata e poi compressa passando nella camera di compressione di solito anulare.
Attraverso la combustione l’aria riceve il calore sufficiente per subire una prima espansione in turbina e poi una seconda attraverso l’ugello di scarico dove essendo accelerata ad alta velocità, genera la spinta.

Ritorna a IngegneriaRitorna a Home Page
Pubblicato in Attualità, Tecnologia | Contrassegnato | Lascia un commento

Carne sintetica sì, carne sintetica no



Dallo scorso novembre ’23 una legge ha vietato la carne sintetica nel nostro Paese. Eppure in Europa lo scenario legislativo potrebbe cambiare, costringendo l’Italia ad adeguarsi.

  1. Perché oggi è di attualità?
  2. Cosa è la carne sintetica
  3. Come si produce la carne sintetica
  4. Impianti di produzione
  5. Carne sintetica e carne coltivata, sono davvero la stessa cosa?
  6. La carne sintetica è economica?
  7. La carne coltivata riduce veramente l’impatto ambientale?
  8. La carne coltivata è sicura?
  9. Ne vale veramente la pena?


1- PERCHE’ OGGI E’ DI ATTUALITA’

Perché dopo il via libera da parte della Food and Drug Administration americana alla commercializzazione del pollo sintetico, entro poche settimane anche a livello europeo sono attese le domande di registrazione.



2 – COSA E’ LA CARNE SINTETICA

La carne sintetica è carne creata in laboratorio.
Si prelevano cellule da un animale vivo o da carne fresca, si estraggono le staminali, si fanno proliferare con un bioreattore simulando il procedimento che avviene naturalmente nel corpo di un animale e se ne lavorano le fibre muscolari.

Detta così non si capisce un gran che. Allora andiamo a vedere da più vicino come si produce.



3 – COME SI PRODUCE LA CARNE SINTETICA

Il primo passaggio consiste in una biopsia, che prevede il prelievo di un campione di tessuto dal muscolo dell’animale e l’isolamento delle cellule staminali.
Queste sono cellule indifferenziate in grado di trasformarsi nei principali tessuti di un organismo. Ogni cellula, del mondo animale o vegetale, possiede nel proprio DNA tutte le istruzioni necessarie per ricreare tessuti, apparati e l’intero organismo. Quando una cellula si specializza in un ruolo specifico, diventando ad esempio una cellula del fegato o una cellula del cuore, essa starà sfruttando solo alcune parti del suo materiale genetico, bloccando invece le informazioni non necessarie a svolgere il suo ruolo.

Tutto questo processo è detto differenziazione cellulare. In parole povere si prelevano le cellule staminali, perché non hanno ancora deciso in cosa differenziarsi e quindi possono facilmente diventare nuovo tessuto muscolare (che costituisce la carne stessa).

Una volta prelevate, queste cellule verranno alimentate con un siero di coltura animale o vegetale, che ne garantirà il corretto sviluppo.

La terza fase è quella del bioreattore.
Questo è un macchinario utilizzato in campo farmaceutico, che utilizza principi complessi di coltivazione cellulare e di ingegneria dei tessuti, che permette alle cellule prelevate di crescere e riprodursi.
Questa è la parte del processo di produzione più costosa in termini economici ed energetici. Una volta che le cellule si sono riprodotte, vengono posizionate su stampi chiamati “scaffold”, che permettono lo sviluppo tridimensionale della carne sintetica e il differenziamento in tessuti connettivi, muscoli e grassi, che uniti insieme danno il tipico sapore alla carne che si mangia.

Ad oggi non si riesce a realizzare una bistecca vera e propria, ma si è arrivati ad ottenere polpette o hamburger.



4 – IMPIANTI DI PRODUZIONE

La Believer Meats ha appena inaugurato un centro per la produzione e commercializzazione di carne coltivata negli Stati Uniti – notoriamente grandissimi consumatori di carne di ogni tipo – nella contea di Wilson (Carolina del Nord). Un impianto da 18mila metri quadrati, attualmente il più grande al mondo.

Ora se una stalla per bovini da carne richiede in media 3-5 mq/capo, su 18.000 mq ci starebbero ben 6000 capi, per una produzione nettamente superiore in quantità di carne sintetica prodotta.



5 – CARNE SINTETICA E CARNE COLTIVATA SONO LA STESSA COSA?

Spesso si sentono utilizzare come fossero sinonimi le espressioni “carne sintetica” e “carne coltivata”, ma sono davvero la stessa cosa? Per l’Organizzazione mondiale della Salute non ci sono dubbi: si dovrebbe parlare sempre di “carne coltivata in laboratorio”. 

Non si tratta di carne sintetica, perché la biologia sintetica è quella che parte da elementi non vitali, inanimati, per creare invece la vita, cosa che nel processo in questione non accade.
Nel processo di produzione, la modalità di sviluppo di tessuti è extra-corporea, esattamente come la fecondazione in vitro che viene denominata “artificiale” dalle norme.



6 – LA CARNE SINTETICA E’ ECONOMICA?

L’investimento iniziale per realizzare l’impianto della Believer Meats è stato di 123,35 milioni di dollari.
A questo va aggiunto l’elevato prezzo necessario per trasformare e differenziare una singola cellula in un hamburger sintetico.

A titolo di esempio un hamburger di pollo sintetico negli Usa costa 10 dollari, un hamburger normale di pollo 1,89 euro (conad),
Fate voi.



7 – LA CARNE COLTIVATA RIDUCE VERAMENTE L’IMPATTO AMBIENTALE?

Attualmente non ci sono studi che mettano a confronto in modo analitico e non di parte, gli eventuali effetti positivi che la produzione di carne sintetica potrebbe avere sull’ambiente a lungo termine.

La proliferazione di cellule necessita del controllo di antibiotici e antimicotici.

La crescita di tessuti all’esterno del corpo avviene poi su dei substrati che devono essere interamente privi di tossine ambientali e il costo di questa purificazione è elevato, sia in termini economici che energetici.

Per dare un’idea della portata secondo la letteratura scientifica, per produrre un chilo di carne artificiale si emetterebbero 9 chili di CO2, usando soltanto antibiotici e senza substrati purificati. Cifre che uguagliano il livello di emissioni prodotte con la carne naturale.



8 – LA CARNE COLTIVATA E’ SICURA?

C’erano già molti dubbi e perplessità su questi prodotti, e adesso i risultati di recenti metanalisi confermano che la sicurezza è molto lontana dall’essere raggiunta: un elenco di ben 53 pericoli per la salute spicca nelle tabelle conclusive. Tra questi possiamo leggere la contaminazione con metalli pesanti, microplastiche e nano plasticheallergeni che possono causare delle gravi reazioni allergiche, come gli ingredienti aggiunti come additivi per migliorare il sapore e la consistenza di questi prodotti, contaminanti chimici, componenti tossici e antibiotici

Gli esperti della FAO e OMS hanno convenuto che molti di questi pericoli sono già esistenti in altri alimenti prodotti convenzionalmente e sono ad oggi gestibili, come la trasmissione di malattie, le infezioni e la contaminazione microbica. Altri invece potrebbero essere particolarmente gravi e inaccettabili per la salute umana, come i potenziali effetti cancerogeni di questi prodotti.



9 – NE VALE VERAMENTE LA PENA?

  • Per gli ambientalisti l’unica alternativa praticabile per contrastare il degrado ambientale e il cambiamento climatico è quella di cambiare la carne senza rinunciare alla carne.
  • I produttori fanno leva sulla sempre più elevata richiesta di alimenti fonte di proteine.
  • Dal punto di vista della sicurezza non esistono ancora standard sull’assenza di contaminazioni biologiche, chimici e fisici. 
  • Dal punto di vista economico la carne «coltivata», per gli alti costi degli impianti e del ciclo di produzione, sarà solo un prodotto di nicchia come il biologico.
  • Dal punto di vista ambientale non ci sarà alcun calo delle emissioni di CO2 in atmosfera.
  • Dal punto di vista organolettico, il sapore della «bistecca» per ora è lontanamente raggiungibile.
  • Attualmente la produzione è ricurvata a produrre carni «molli» come hamburger e wurstel

L’indagine Coldiretti-Censis diffusa al Cibus di Parma ha certificato come l’84 % degli italiani intervistati sia contrario al consumo di alimenti come carne, pesce e latte sintetici.

Ritorna a Green Deal Ritorna all Home Page
Pubblicato in Ambiente, Attualità, Salute e Benessere, Scienze naturali | Contrassegnato , | Lascia un commento

Impianto eolico, quello che devi sapere



  1. Energia eolica cos’è
  2. Impianto fotovoltaico come è fatto, come funziona
  3. Energia – Potenza
  4. Parchi eolici
  5. Profilo di una turbina eolica – Il rotore
  6. Come è fatta una turbina
  7. Organi di trasmissione
  8. Moltiplicatore di giri
  9. Generatore
  10. Trasformatore
  11. Sistemi di imbardata
  12. Dispositivi ausiliari
  13. Dimensioni
  14. Lo schema
  15. Impianto eolico ad asse verticale
  16. Variazione velocità del vento con l’altitudine


ENERGIA EOLICA COSA E’

Il termine eolico deriva da Eolo (in greco antico Αἴολος), il dio dei venti nella mitologia greca.

L’energia eolica è una fonte energetica che sfrutta le capacità cinetiche connesse al vento per convertire questa fonte in energia meccanica e, a sua volta, in energia elettrica.

La differenza di pressione atmosferica è dovuta alla differenza di temperatura della Terra, conseguenza del riscaldamento non uniforme del Sole. Infatti, i raggi del sole colpiscono il nostro pianeta secondo angoli di incidenza differenti, in base a fattori quali latitudine e ora del giorno. Inoltre, intervengono anche aspetti legati al suolo, come ad esempio consistenza del terreno (sabbioso, roccioso, caratterizzato da vegetazione fitta o dalla presenza dell’acqua) e colore (terreno chiaro o scuro), mentre le grandi masse d’acqua, gli oceani, si riscaldano e si raffreddano più lentamente della terra.

Dai due punti di differente pressione atmosferica, si origina la forza del gradiente di pressione: tale forza preme su una massa d’aria per ristabilire l’equilibrio della pressione, da cui si genera il fenomeno del vento. Tale fenomeno si combina a quello prodotto dalla Forza di Coriolis, causato dalla rotazione della Terra che provoca il movimento di grandi masse d’aria.

Il principio è semplice: il vento fa girare le pale, come una girandola, che, a loro volta, fanno girare il generatore che trasforma l’energia meccanica in energia elettrica grazie ad un motore elettrico.



COMPOSIZIONE E FUNZIONAMENTO

  1. La torre, di altezza compresa tra i 30 e i 120 metri, innalza verso il cielo la navicella all’interno della quale sono ubicati i vari meccanismi che consentono di convertire il vento in elettricità. La velocità del vento cresce con la distanza dal suolo, motivo per il quale è necessaria questa altezza per le pale eoliche. Il diametro della fondazione in calcestruzzo armato è pari a circa 20 metri
  2. All’estremità della navicella è presente un rotore – diametro tra i 20 e i 170 metri – composto da un mozzo su cui sono fissate le pale eoliche.
  3. Sulla navicella della pala eolica sono presenti vari sistemi di controllo, per monitorare in continuazione i parametri di funzionamento della pala eolica e consentire di produrre energia rinnovabile in totale sicurezza, massimizzando l’efficienza all’interno di un parco eolico. 
  4. La pala eolica (o aerogeneratore, o turbina eolica) di lunghezza variabile tra i 10 e gli 85 metri circa, è un piccolo capolavoro di ingegneria, dall’aspetto solo in apparenza elementare. La tipologia più diffusa è la classica pala eolica ad asse orizzontale viene fissata la pala solitamente pari a 3 (anche chiamate lame). Meno diffuse sono le pale eoliche ad asse verticale, poco utilizzate per problemi di resistenza all’aria. Le pale eoliche cominciano a ruotare grazie al movimento dell’aria, quindi alla velocità del vento. La velocità minima di avvio dipende dalla dimensione dell’impianto e può variare da un minimo di 2/3 metri al secondo ad un massimo di 6/7 metri al secondo. Ad alte velocità (20/25) metri al secondo l’aerogeneratore viene bloccato dal sistema di frenata per motivi di sicurezza.
  5. La rotazione così generata viene trasmessa ad un generatore elettrico tramite un moltiplicatore di giri. Il generatore elettrico converte l’energia meccanica ricevuta in energia elettrica.
  6. Un moltiplicatore di giri trasforma la rotazione lenta delle pale (tra i 18 e i 25 giri al minuto) in una rotazione più veloce (fino a 1800 giri al minuto) in grado di far funzionare il generatore di elettricità.
  7. L’energia trasmessa, dopo essere stata opportunamente regolata da un trasformatore ad un livello di tensione adeguato viene trasmessa in rete da un inverter. Il trasformatore provvederà a trasferire l’energia elettrica da un circuito a un altro (la rete elettrica in questo caso), modificandone le caratteristiche.

Il funzionamento di una centrale eolica è garantito dalla presenza di un collegamento a tensione media e da un sistema di monitoraggio remoto.

In Italia la velocità misurata a 25-30 m dal suolo (altezza tipica per le mini turbine) difficilmente supera i 5-6 m/sec, che rappresenta una velocità scarsa secondo la classificazione vigente. Una regola generale valida per regimi di bassa ventosità è di scegliere turbine con potenza specifica (rapporto tra potenza nominale ed area della superficie spazzata dal rotore) non superiore a 250- 300 W/m2 per zone con 5-6 m/sec e non superiori a 200-250 W/m2 per zone con 4-5 m/sec.



ENERGIA – POTENZA

L’energia eolica è l’energia cinetica prodotta dall’aria in movimento e solitamente prende il nome di vento. Il totale di energia eolica che fluisce attraverso una superficie immaginaria A durante il tempo t è:

dove A è la superficie delle pale, ρ è la densità dell’aria, v è la velocità del vento; Avt è il volume di aria che passa attraverso la sezione A, considerata perpendicolare alla direzione del vento; Avtρ è quindi la massa m che passa per l’unità di tempo. (Notare che ½ ρv2 è l’energia cinetica dell’aria in movimento per unità di volume).

La potenza è l’energia per unità di tempo. Nel caso dell’energia eolica incidente su A, per esempio l’area del rotore di una turbina eolica, è:

L’energia eolica in una corrente d’aria aperta è quindi proporzionale alla terza potenza della velocità del vento: la potenza disponibile aumenta quindi di otto volte se la velocità del vento raddoppia. Le turbine eoliche per la produzione di energia elettrica devono quindi essere particolarmente efficienti a una maggiore velocità del vento.

In Italia le pale girano lentamente: in un anno solo 0,4 nuovi Gigawatt. Una miseria.

Il diagramma in figura è relativo ad una turbina non di grande potenza (P = 600kW), e si può notare come il massimo venga raggiunto intorno ai 15 m/s di velocità del vento e resti costante fino ai 25 m/s, velocità alla quale si ha il cut out.

Oggi esistono turbine capaci di erogare una potenza massima di 3MW (in condizioni di ventosità di progetto) che presentano pale lunghe circa 40m (quindi un diametro rotorico di circa 80m) con torri alte tra gli 80 ed i 110m. 



PARCHI EOLICI

Si definisce parco eolico un gruppo di turbine eoliche poste nelle vicinanze e utilizzate per la produzione di energia elettrica.
Un grande parco eolico può essere composto da diverse centinaia di singoli generatori eolici distribuiti su una estesa superficie, ma la terra tra le turbine può essere utilizzata anche per scopi agricoli o altro. Un parco eolico può anche essere localizzato in mare aperto.

Quasi tutte le grandi turbine eoliche hanno lo stesso disegno: una turbina eolica ad asse orizzontale, con un rotore di bolina a tre lame, collegata a una navicella sulla cima di una torre tubolare.

In un parco eolico le singole turbine sono interconnesse con una linea di media tensione (spesso 34,5 kV) e reti di comunicazione. In una sottostazione la corrente elettrica di media tensione viene poi elevata ad alta tensione con un trasformatore per poi essere immessa nella rete di distribuzione.

I parchi eolici possono essere on-shore oppure off-shore:

  • Impianti eolici on-shore: situati sulla terraferma, vengono solitamente costruiti in zone dove è presente normalmente un moto ventoso di una certa entità, che può essere sfruttato per la creazione di elettricità. Vengono realizzati su località distanti circa 3 km dalla più vicina costa. Le potenze prodotte arrivano fino ai 20 MW.
  • Impianti eolici off-shore: vengono realizzati lontano dalla costa, direttamente sul mare, e consentono, grazie al moto ventoso, di realizzare la gran parte di energia elettrica ricavabile dall’eolico, grazie all’elevata stabilità. 


PROFILO DI UNA TURBINA EOLICA – ROTORE

Le pale di una turbina eolica solo adibite ad entrare in contatto con il flusso ventoso ed a subire una spinta propulsiva da quest’ ultimo; solitamente sono in fibre di vetro o polimetri vetrosi, in modo da migliorarne resistenza e robustezza, per poter sopportare raffiche ventose di violenta intensità a cui potrebbero essere soggette.

La pala non è un organo fisso, ma regolabile e grazie ad un supporto alloggiato sul mozzo, viene permessa la rotazione della pala, per la regolazione dell’angolo di pitch. La pala deve avere la stessa portanza lungo tutto il braccio, e quindi la medesima spinta.

Premesso che la portanza è direttamente proporzionale all’angolo d’attacco e l’angolo d’attacco varia con la velocità; essendo la velocità periferica delle pale crescente dal mozzo verso l’estremità, per mantenere costante la portanza dovrà essere per forza modificato il calettamento.

l calettamento diminuisce man mano che aumenta sul profilo dell’elica la velocità periferica allontanandosi dal mozzo. Quindi bisogna diminuire l’angolo {β} per mantenere un buon angolo d’attacco {α} che è l’angolo tra l’asse della pala e la velocità risultante tra quella di rotazione della pala e quella del flusso ortogonale alla pala.

Le forze aerodinamiche variano con il quadrato della velocità locale e crescono rapidamente con il raggio, importante quindi è progettare le sezioni più vicine alle estremità della pala in modo tale che abbiano buona portanza e scarsa resistenza.

A = π * R2

dove A è la superficie spazzata dal vento, R il raggio della pala.

Ovviamente, in generale maggiore sarà la superficie spazzata e più grande sarà la producibilità della turbina.

La sezione della pala di una turbina eolica è piuttosto spessa, allo scopo di ottenere l’elevata rigidità necessaria per resistere ai carichi meccanici variabili che agiscono su di essa nel corso del funzionamento, durante la sua vita utile la pala è soggetta a carichi variabili che determinano usura, e ciò costituisce la maggiore difficoltà tecnica nella progettazione delle pale.

È necessario, inoltre, effettuare un’analisi accurata per eliminare il rischio di risonanza tra i diversi oscillatori meccanici (pale, torre, organi di trasmissione, ecc.).
I fulmini costituiscono una delle principali cause di avaria; viene perciò fornita una protezione attraverso l’istallazione di conduttori, sia sulla superficie della pala, sia al suo interno.

La immagine seguente riporta la risultante delle forze agenti su ogni singola pala e velocità e direzione in cui incide il flusso ventoso su di essa.

Le pale sono in fibra di vetro e in materiali compositi.

ROTORI

Il rotore eolico è parte essenziale dell’impianto, anzi può a buon ragione essere considerato il cuore del sistema. Esso è costituito da un mozzo su cui sono ancorate più pale.

I rotori sono ad asse orizzontale di tipo:

  • monopala, con contrappeso: sono le più economiche, ma essendo sbilanciate generano rilevanti sollecitazioni meccaniche e rumore; sono poco diffusi.
  • bipala: hanno due pale poste a 180° tra loro ovvero nella stessa direzione e verso opposto. Hanno caratteristiche di costo e prestazioni intermedie rispetto a quelli degli altri due tipi; sono le più diffuse per installazioni minori.
  • tripala: hanno tre pale poste a 120° una dall’altra: sono costose, ma essendo bilanciate, non causano sollecitazioni scomposte e sono affidabili e silenziose, ognuna di queste pale può essere collegata al mozzo da un regolatore angolare Pitch, il quale varia l’angolo di incidenza della singola pala accrescendo o diminuendo la forza risultante.

I rotori a due pale sono meno costosi e girano a velocità più elevate. Sono però più rumorosi e sono soggetti a maggiori vibrazioni rispetto ai modelli a tre pale. Tra i due, la resa energetica è quasi equivalente. 

Sono anche stati messi a punto rotori con pale “mobili”: variando l’inclinazione delle pale in base alla velocità del vento è possibile mantenere costante la quantità di elettricità prodotta dall’aerogeneratore.  



COME E’ FATTA UNA TURBINA EOLICA

La turbina eolica è il componente funzionale fondamentale per la creazione di impianti eolici e prevede l’esistenza di vari organi meccanici, adibiti alla produzione e conversione dell’energia meccanica in energia elettrica, che poi dovrà essere immessa nella rete locale.



ORGANI DI TRASMISSIONE

  • Le pale sono collegate al mozzo che ospita i meccanismi di regolazione del pitch.
  • Il mozzo è di solito un pezzo di acciaio o di ferro a grafite sferoidale ed è protetto esternamente da un involucro di forma ovale, lo spinner.
  • L’albero del rotore è sostenuto da supporti e ruota a velocità relativamente bassa. 


MOLTIPLICATORE DI GIRI

Finora la maggioranza delle turbine  – circa l’80% – è dotata di moltiplicatore, il resto è a presa diretta o è ibrido. 

Il moltiplicatore di giri è impiegato per incrementare la velocità del rotore fino ai valori richiesti dai generatori convenzionali. Ciò perché generalmente i rotori delle turbine eoliche girano a velocità molto basse. Tipici rapporti del moltiplicatore possono superare gli 1:100.

I moltiplicatori continueranno a giocare un ruolo molto importante in ermini di costo, con l’obiettivo primario di una maggiore affidabilità e sicurezza operativa. 

Gli ingranaggi planetari dei moltiplicatori sono spesso dotati di cuscinetti a pieno riempimento di rulli cilindrici, cioè senza gabbia. A seguito dell’esistenza di contatti diretti tra i rulli, tali cuscinetti, di elevata capacità di carico, sviluppano di solito più attrito dei corrispondenti tipi con gabbia.

Il moltiplicatore di giri è quindi una sorgente di rumore, che i produttori si sforzano di ridurre, per esempio utilizzando moltiplicatori elicoidali invece di moltiplicatori ad assi paralleli. 



GENERATORE

Il generatore è l’unità di trasformazione dell’energia meccanica in potenza elettrica. Vi sono due tipi principali di generatori: asincroni e sincroni.

La grande differenza tra i due è la velocità di rotazione. Infatti il generatore sincrono deve ruotare a velocità costante e viene magnetizzato (eccitato) da una fonte di alimentazione dedicata, mentre il  generatore asincrono può ruotare ad una velocità non costante (sempre però nell’intorno della velocità di sincronismo), dove la differenza tra la velocità di rotazione e di sincronismo è chiamata slip e viene magnetizzato dalla rete stessa quindi ha bisogno che la rete sia già attiva per partire.


Il generatore più diffuso è il sincrono ed è inoltre il più versatile per le regolazioni di tensione e di frequenza, ciò perché può funzionare sia come generatore, sia come motore, a seconda del valore della velocità di rotazione.

Il sincronismo riguarda la velocità di rotazione del campo magnetico rispetto a quella del rotore.

Nei generatori di potenza maggiore, il rotore è di tipo avvolto ed è alimentato dall’esterno in corrente continua da un apposito sistema di eccitazione. Lo statore è collegato alla rete elettrica tramite un trasformatore che porta la tensione da 690 V a 20 kV o altre tensioni dello stesso ordine di grandezza.

Per mantenere costante la velocità di rotazione del mozzo (che è collegato all’asse del generatore con un moltiplicatore di giri) viene variato il passo delle pale. Se la velocità del vento scende, scende anche quella del mozzo, quindi vengono orientate le pale in modo da avere più incidenza e quindi generare più coppia. 



TRASFORMATORE

Il livello di tensione di uscita del generatore è relativamente basso e deve essere aumentato a un livello medio  per mezzo di un trasformatore, per ridurre le perdite di trasmissione.

I cavi elettrici flessibili, che collegano la gondola alla base della torre, formano un anello al di sotto della gondola, per consentirne i movimenti di imbardata. Tali movimenti vengono monitorati: se la rotazione è superiore a due giri, la gondola viene imbardata in direzione opposta durante il periodo successivo di assenza di vento, per sbrogliare i cavi. 



SISTEMA DI IMBARDATA

Lo scopo principale del sistema si imbardata è quello di far ruotare l’intera gondola sulla sommità della torre affinché il rotore fronteggi sempre il vento.

• regolazione attiva dell’imbardata: le turbine di media e grande taglia sono dotate di un sofisticato servomeccanismo, regolato da un anemometro, che garantisce l’allineamento ottimale tra l’asse del rotore e la direzione del vento.

• regolazione passiva dell’imbardata: per orientare la navicella in base alla direzione del vento, le turbine di piccola taglia sono dotate di un semplice timone (o banderuola) direzionale.Il sistema di controllo della potenza ha la funzione di ottimizzare la potenza erogata, al variare della velocità del vento. Esistono due tipologie di sistemi di controllo della potenza. 



DISPOSITIVI AUSILIARI

I principali dispositivi ausiliari all’interno della gondola sono:

  • un freno meccanico installato sull’albero di rotazione veloce per bloccare la rotazione in condizioni meteorologiche avverse o per permettere la manutenzione;
  • un dispositivo a presa diretta dalla rete, qualora necessario, di uno start di avvio della rotazione delle pale a velocità basse del vento
  • un dispositivo idraulico per lubrificare il moltiplicatore di giri o altre parti meccaniche; scambiatori di calore per il raffreddamento dell’olio e del generatore.


Sulla sommità della gondola sono collocati anemometri e banderuole per il controllo della turbina, luci di segnalazione per la navigazione aerea, una piattaforma di supporto agli elicotteri. 



DIMENSIONI

  • Piccola taglia (1-200 kW): diametro del rotore, 1-20 metri; altezza torre, 10-30 metri.
  • Media taglia (200-800 kW): diametro rotore, 20-50 metri; altezza torre, 30-50 metri.
  • Grande taglia (oltre 1000 kW): diametro rotore: 55-80 metri; altezza torre: 60-120 metri.

La più grande turbina al mondo funzionante è la Mhi Vestas V164 da 8MW: ognuna delle sue tre pale è lunga 80 metri e pesa 33 tonnellate. 

clicca sulla immagine per ingrandire



LO SCHEMA



IMPIANTO ELOLICO AD ASSE VERTICALE

Le pale verticali sono ideali soprattutto per impianti di piccola e media potenza (massimo 200 kW di potenza nominale). Diciamo ad uso domestico. Più in generale, l’eolico verticale è adatto per tutti gli utenti residenziali, agricoli e industriali di piccole-medie dimensioni ubicati in siti non caratterizzati da forti venti dominanti, bensì da venti più deboli soggetti a forte variabilità.

Il loro funzionamento rimane costante indipendentemente dalla direzione del vento; la turbina si aziona anche a piccole spinte del vento.

I principali vantaggi dell’asse verticale rispetto al più tradizionale eolico orizzontale sono i seguenti:

  • (1) il funzionamento costante, a prescindere dalla direzione del vento;
  • (2) il fatto che la turbina si aziona già a piccole velocità del vento;
  • (3) la migliore resistenza alle alte velocità dei venti ed alla loro turbolenza;
  • (4) lo scarso ingombro e la compattezza;
  • (5) la silenziosità.

Le turbine eoliche ad asse verticale presentano diverse forme delle pale,

Le turbine eoliche ad asse verticale, come dice il nome stesso, si differenziano dalle tradizionali soprattutto per la posizione dell’asse del rotone, anche se la classificazione più corretta sarebbe quella sulla base del tipo di forza aerodinamica da esse sfruttata.

Il motivo per il quale le turbine ad asse verticale producono una maggiore energia sfruttabile elettricamente è, quindi, molto semplice. Tuttavia per determinare matematicamente questa energia si usano complesse formule appartenenti all’ambito aerodinamico.
Ciò dipende essenzialmente dalla geometria delle pale e della turbina e dall’inclinazione delle stesse pale, oltre che dalla velocità del vento.
I profili ad asse verticale, infatti, consentono una minore perdita di energia nel passaggio dal meccanica a elettrica, che nelle turbine ad asse orizzontale è di molto superiore, aggirandosi intorno al 60%.

Gli impianti eolici “autonomi” – normalmente chiamati stand-alone – sono sistemi non connessi alla rete elettrica esterna, i quali accumulano in delle batterie l’energia in eccesso rispetto a quella autoconsumata immediatamente.
Altri tipici componenti degli impianti stand-alone sono il regolatore di carica, il quale regola l’energia che entra ed esce dalle batterie, l’inverter (che trasforma la corrente continua in alternata alla tensione di rete) ed un eventuale sistema elettrogeno “di riserva” , che entra in funzione quando l’eolico non può operare per assenza di vento o non può soddisfare un’eccessiva richiesta di energia. 
Gli impianti stand-alone, che possono essere anche sistemi “ibridi” (ad es. fotovoltaico-eolico), vengono di solito usati per alimentare a basso costo utenze non raggiunte – o costosamente servite – dalla rete elettrica (in montagna, in piccole isole, etc.) o dispositivi particolari (ad es. sistemi di irrigazione) in aree isolate.  



VARIAZIONE DEL VENTO CON L’ALTEZZA DAL SUOLO

Galileo Galilei, già nel XV secolo affermava che “È più facile studiare il moto di corpi celesti infinitamente lontani che quello del ruscello che scorre ai nostri piedi.”

Questa difficoltà e complessità è ancora oggi parzialmente irrisolta nel determinare la variazione di velocità del vento con l’altezza. In fisica è chiamata roughness (scabrezza, frizione del terreno dovuto ad ostacoli, turbolenze).

Quando si parla di roughness coefficient nell’eolico ci si riferisce alla misura di scabrezza del terreno prendendo la quota zero del suolo come riferimento.

 Maggiore è la forza di frizione maggiore sarà il disturbo che questa esercita sul vento che passa vicino al suolo. Generalmente l’andamento del vento con l’altitudine segue un profilo logaritmico. Il profilo di vento medio sarà un profilo in forte crescita all’aumentare dell’altitudine.

Ritorna a
Green Deal – Ingegneria
Ritorna a
Home
Pubblicato in Ambiente, Attualità, Scienza, Tecnologia | Contrassegnato | Lascia un commento

Impianto fotovoltaico, quello che devi sapere.



ARGOMENTI TRATTATI

  1. Pannello fotovoltaico
  2. Effetto fotovoltaico
  3. Celle fotovoltaiche
  4. Impianto
  5. Circuito equivalente
  6. Curva V-I
  7. Irradianza
  8. Temperatura
  9. Rendimento
  10. Potenza
  11. Tipi di celle e collegamenti
  12. Dimensionamento pannelli
  13. Batteria di accumulo
  14. Inverter
  15. Lo schema
  16. Fotovoltaico industriale
  17. Conclusione


PANNELLO FOTOVOLTAICO

pannelli solari fotovoltaici sono la componente fondamentale di un impianto fotovoltaico.

In ingegneria energetica un pannello fotovoltaico è un dispositivo composto da moduli fotovoltaici, a loro volta costituiti da celle fotovoltaiche, in grado di convertire l’energia solare in energia elettrica mediante effetto fotovoltaico, senza l’uso di alcun combustibile.

 Viene impiegato come generatore di corrente dell’impianto.



EFFETTO FOTOVOLTAICO

L’effetto fotovoltaico avviene tramite la congiunzione di due metalli.

Questo fenomeno è alla base della produzione elettrica nelle celle fotovoltaiche. Il meccanismo di funzionamento si basa sull’utilizzo di materiali semiconduttori, il più utilizzato dei quali è attualmente il silicio adeguatamente “drogato”.

Nel 1905 Albert Einstein spiegò l’effetto fotoelettrico per cui ricevette il Premio Nobel per la fisica nel 1921.

Fino allora si riteneva che la luce si propagasse come una onda. Einstein ipotizzò che la luce fosse composta da particelle, “quanti di luce”, pacchetti indivisibili (fotoni), ognuno dei quali con un’energia dipendente dalla frequenza (f) secondo la relazione E=hf , dove h è chiamata costante di Planck. (ricordando che f=c/λ, dove λ è la lunghezza d’onda, c è la velocità della luce)

Ora gli elettroni di conduzione in un metallo possono essere considerati, dal punto di vista energetico, come intrappolati in una buca di energia potenziale.
La profondità di tale buca, detta funzione lavoro ed indicata con W, corrisponde al lavoro che occorre fare su uno di essi, situato in prossimità della superficie, per sottrarlo al metallo stesso. W rappresenta quindi la minima spesa energetica per estrarre un elettrone.

Se un quanto di luce interagisce (urta) con l’elettrone può cedere a questo una quantità di energia data dalla formula più sopra.
Di tale energia, una quantità almeno pari a W verrà spesa dalla particella per sottrarsi al legame del metallo, il resto sarà da essa trasportato sotto forma di energia cinetica residua, che indicheremo con K.
A questo punto, diventa veramente banale scrivere l’equazione che descrive l’effetto fotoelettrico. Un elettrone colpito da un quanto di energia acquisterà un’energia cinetica K, data da:

K = hf – W

Dove W, ricordiamo, è il lavoro che deve essere svolto per “sradicare” l’elettrone dal suo atomo. W dipende quindi dal tipo di atomo di cui è composto il materiale illuminato

Einstein: “…. ogni elettrone, nell’abbandonare il corpo, debba effettuare un lavoro w (che è caratteristico del corpo considerato). Ad uscire dal corpo con la massima velocità normale saranno gli elettroni eccitati che si trovano direttamente alla sua superficie e che acquistano una velocità normale ad essa…”

A questo punto il più sveglio di voi, avrà notato che la energia E non dipende dalla intensità della particella ma esclusivamente dalla frequenza. Questo fu provato dall’esperimento di Lenard nel 1902.
Infatti, grazie all’elevata potenza di una lampada ad arco usata, fu in grado di studiare l’emissione fotoelettrica utilizzando le diverse componenti spettrali della luce, trovando così che la massima energia degli elettroni emessi dipendeva dal colore: la luce di lunghezza d’onda minore – ovvero di frequenza più elevata provocava l’emissione di elettroni con maggiore energia.

L’energia di emissione delle particelle dipendeva dalla lunghezza d’onda della luce usata, ed esiste una frequenza d’onda limite o di soglia fs di emissione degli elettroni:

  1. Condizione di frequenza f > fs, E = ħ f > funzione lavoro => l’elettrone può essere emesso; cioè se l’energia del fotone, che dipende dalla frequenza, è maggiore di quella minima necessaria per estrarre l’elettrone allora c’è l’effetto fotoelettrico; esso dipende dalla frequenza perché dalla frequenza dipende l’energia del fotone;
  2. Condizione di soglia f < fs, la luce non è in grado di indurre fotoemissione, indipendentemente dalla sua intensità;

La luce visibile dall’occhio umano ha una lunghezza d’onda che va da 380 nm (colore violetto) e 750 nm (colore rosso), e comprende tutti i colori dell’arcobaleno. (nm=nanometri)

Dalla tabella a lato si intuisce che dalle frequenze che generano il colore verde in giù non ci sarà emissione di elettroni, che saranno elevati nella banda dal blu al violetto.

Un impianto fotovoltaico sarà tanto più efficace quante radiazioni assorbirà nella banda del violetto.

Le nuvole, la nebbia e pioggia sono fenomeni atmosferici che fungono da schermo contro le radiazioni solari, impedendo alle celle fotovoltaiche di riceverle.

Del pacchetto di fotoni che incide sulla superficie di un semiconduttore, solo quelli a più alta energia, a più alta frequenza (E=hf) sono in grado di strappare elettroni dalla loro banda di valenza per farli passare nella banda di conduzione.



IMPIANTO

Gli impianti fotovoltaici possono essere progettati e installati in tre modi differenti:

  1. Grid Connected: l’impianto è connesso alla rete elettrica nazionale. L’energia prodotta dal campo fotovoltaico va a servire le utenze richieste dall’abitazione, determinando un mancato prelievo dalla rete elettrica e un conseguente risparmio in bolletta. L’energia in surplus viene conteggiata dal contatore e viene riversata sulla rete. In alternativa c’è la possibilità di rivendere tutta l’energia prodotta in rete attraverso il contratto di Ritiro Dedicato.
  2. Stand Alone: l’impianto non è connesso alla rete elettrica nazionale e l’energia prodotta dal campo fotovoltaico viene immagazzinata in batterie di accumulo. Gli impianti Stand Alone, o comunemente chiamati “ad Isola” rappresentano l’unica scelta installata qualora l’abitazione sia sprovvista di allaccio alla rete elettrica. L’energia prodotta dal campo fotovoltaico va a servire le utenze attive nell’abitazione e l’energia restante viene immagazzinata in batterie di accumulo fino a completa carica.
  3. Storage: è un impianto “ibrido” che coniuga in un impianto le altre due tipologie installative. E’ un innovativo sistema in cui l’energia prodotta dal campo fotovoltaico viene prima immagazzinata nelle batterie d’accumulo e, raggiunta la capienza, riversa l’energia residua sulla rete elettrica nazionale.

La scelta di installare una tipologia di impianto rispetto ad un’altra è legata a vari fattori quali le esigenze del cliente, se l’abitazione è connessa alla rete elettrica o meno e il budget a disposizione.

Nella fase di progettazione è importantissimo dimensionare l’impianto e il campo batterie in base alle reali utenze e consumi dell’abitazione per non rischiare di sovradimensionare il numero di batterie, che incidono notevolmente sul costo totale di impianto.

Componenti fondamentali di un impianto fotovoltaico:

  • pannelli composti da celle fotovoltaiche
  • eventuale sistema di accumulo di elettricità
  • inverter
  • una struttura di sostegno per installare i moduli su terreno o su edifici
  • cablaggi (cavi)



CELLE FOTOVOLTAICHE

Le celle fotovoltaiche sono installate su un pannello di Etilen Vinil Acetato (EVA) e sovrapposte da un vetro temprato che fornisce un supporto fisico a protezione dalle intemperie.

Le celle fotovoltaiche sono l’elemento base per la produzione di energia elettrica ricavata dalla energia solare (frequenza). Il loro insieme formano i pannelli fotovoltaici messi in serie o in parallelo.

Le celle possono essere costituite da vari materiali; il semiconduttore più utilizzato e performante è il silicio..

Il silicio ha 4 elettroni di «valenza», ovvero quelli appartenenti all’orbita esterna dell’atomo, quindi in grado di legarsi con altro atomi di silicio.

Ora attraverso il drogaggio (aggiunta di un altro elemento tipo boro) in una zona di silicio si ottiene uno strato detto di tipo «P» in quanto ha meno elettroni di valenza.
Questo strato viene accoppiato con un altro strato drogato con atomi che hanno più elettroni di valenza (esempio il fosforo) e si realizza così uno strato di tipo «N»
L’unione di questi due strati realizza una giunzione di tipo NP nota con il nome di diodo.

Quando la giunzione è colpita da un fascio luminoso molti elettroni di valenza si staccano dal legame con altri atomi di silicio e raggiungono un livello energetico alto detto banda di conduzione contribuendo così ad un flusso elettrico unidirezionale, cioè si realizza la generazione di corrente elettrica.

La cella fotovoltaica non ha bisogno di essere polarizzata, produce energia elettrica direttamente dal flusso solare.


In pratica quando un flusso luminoso investe invece il reticolo cristallino di un semiconduttore, si verifica la transizione in banda di conduzione di un certo numero di elettroni al quale corrisponde un egual numero di lacune che passa in banda di valenza. Si rendono pertanto disponibili portatori di carica, che possono essere sfruttati per generare una corrente. 

Nel punto da cui è «sfuggito» l’elettrone dall’atomo rimane un posto libero, che si chiama lacuna e si comporta come se fosse una carica positiva.



CIRCUITO EQUIVALENTE

Il circuito equivalente di una cella fotovoltaica è formato da un diodo che rappresenta la giunzione NP dove si verifica da differenza di potenziale e rappresenta di fatto la cella, una resistenza Rs dei due strati di silicio e resistenze parassite, mentre la resistenza shunt in parallelo indicata con Rp rappresenta le perdite di dispersione all’interno della cella ed U l’utilizzatore di energia elettrica.
Infatti, a circuito aperto (U=0) non si ha corrente e la tensione del circuito V è quella applicata al diodo.
Con il circuito chiuso (U<>0) ci sarà passaggio di corrente I.



CURVA V – I

A seconda del carico immesso, inoltre, si può distinguere tra circuito chiuso e circuito aperto. A queste due condizioni sono associati due valori di riferimento che servono per capire le prestazioni della cella.

Per il circuito aperto, nell’amperometro si misura una corrente nulla, non essendoci nessun contatto elettrico, mentre la tensione presenterà il valore massimo che la cella può produrre. Quel valore è chiamato tensione di circuito aperto (Voc).

Nel circuito chiuso si ha il carico minimo e la corrente è massima, essendo inversamente proporzionale al carico elettrico. La corrente massima che si può produrre in questi casi è definita intensità di corrente a circuito chiuso (Isc); a questa corrente è associata una tensione nulla.

2024-01-14_12h45_55

Riportando questi valori su un diagramma chiamato “CURVA V-I”, curva caratteristica di una cella fotovoltaica o curva voltamperometrica, è possibile comprendere l’efficienza di una cella fotovoltaica e, pertanto, di un pannello solare.

Considerando un diagramma Tensione/Corrente, partendo dalla tensione a vuoto, ed aumentando la corrente tramite aumento del carico, la tensione decresce più o meno linearmente per poi presentare un “ginocchio” e crollare pressoché verticalmente quando si raggiunge la corrente massima di cortocircuito.

Nelle condizioni di corto circuito (Isc) la corrente è massima, mentre in condizioni di circuito aperto è massima la tensione (Voc).

Normalmente un singolo modulo fotovoltaico produce (a seconda di dimensioni e potenza) una tensione a vuoto (Voc) tra i 40 ed i 50 Volt, ed una corrente massima di cortocircuito (Isc) tra i 9 ed i 12 Ampere.

Con Vp uguale alla tensione di picco, Ip la corrente di picco.

Pp = Vp * Ip



IRRADIANZA

L’irradianza o illuminanza è il flusso della radiazione elettromagnetica, ovvero la densità di corrente termica trasmessa per irraggiamento per metro quadrato. Si misura in W/m2
In condizioni di pieno sole ma massima irradianza è di 1.000 W/m2.
Il valore medio globale orizzontale che si riscontra al suolo in Italia Centrale è pari a 180 W/m², nella Pianura Padana 160 W/m², al Sud 200 W/m²).

L’incidenza dell’irradianza sulla tensione e corrente, come si vede dal grafico in basso, non incide sul valore della tensione a vuoto, mentre varia in modo proporzionale la corrente di corto circuito al variare dell’intensità dell’irraggiamento. E si nota che la tensione si attiva anche con poca irradianza e questo dato è da tener presente in fase di realizzazione dell’impianto fotovoltaico.



TEMPERATURA

La temperatura non ha un effetto significativo sul valore della corrente di corto circuito (Isc), per contro esiste una proporzionalità tra questa e la tensione a vuoto della cella. Dal grafico si deduce che la tensione diminuisce al crescere della temperatura. 



RENDIMENTO

Il rendimento di un pannello fotovoltaico è la quantità di energia solare che un pannello riesce a convertire in energia elettrica per unità di superficie, ed è sempre il massimo rendimento alle condizioni STC di cui sopra.

Il calcolo del rendimento di un pannello fotovoltaico è abbastanza semplice conoscendo la potenza di picco e le dimensioni (l’ingombro massimo del modulo).

Per il calcolo semplificato si può utilizzare la seguente formula:

Rendimento % = (Potenza / Superficie / 1000) * 100

Se il rendimento di picco del pannello è del 19 %, questo significa che in un momento della giornata con irraggiamento al suolo di 1000W/mq e temperatura 25°C il nostro pannello convertirà in energia elettrica il 19% della radiazione solare.

Un Pannello solare da 300 watt fornisce 1,2 kilowattora (kWh) di energia elettrica ogni giorno, o 438 kWh all’anno, con un valore di irraggiamento medio di 4 ore di picco-sole. La quantità precisa varierà a seconda dell’irraggiamento del luogo



POTENZA

In prima approssimazione, la potenza elettrica generata da un modulo si può derivare dalle seguente formula:

L’irradiazione solare è il flusso radiante della radiazione elettromagnetica emessa dal sole in tutto lo spettro di frequenze che colpisce una superficie per unità di area.
All’interno dell’atmosfera terrestre, lo spettro viene modificato per via dell’assorbimento della radiazione, scattering e riflessione nell’atmosfera in determinate bande da parte delle molecole di gas ivi presenti.
L’irradiazione solare extraterrestre varia nel corso dell’anno circa del 3,3% rispetto al suo valore medio a causa della diversa distanza tra sole e terra.

In generale, dunque, le prestazioni per unità di superficie dei moduli fotovoltaici sono suscettibili di variazioni anche sostanziose in base:

  • al rendimento dei materiali;
  • alla tolleranza di fabbricazione percentuale rispetto ai valori di targa;
  • all’irraggiamento, quindi le frequenze a cui le sue celle sono esposte;
  • all’angolazione o incidenza con cui la radiazione solare giunge rispetto alla sua superficie;
  • alla temperatura di esercizio dei materiali, che tendono ad “affaticarsi” in ambienti caldi;
  • alla composizione dello spettro di luce solare;
  • alla banda spettrale di radiazione solare assorbita (valutata dalla risposta spettrale): le celle possono convertire in elettricità solo una banda di frequenze dello spettro della luce solare.

La potenza dei pannelli solari è misurata in watt di picco (abbreviato Wp) o in kilowatt di picco (abbreviato in kWp).  
1 kilowatt di picco (kWp) =1000 watt di picco (Wp).

Per la produzione di 1 MW è necessario 1 ettaro, ovvero 10.000 mq.(1 ha = 104 m2 )



TIPI DI CELLE E COLLEGAMENTI

Le celle solari variano a seconda del cristallo che le caratterizza:

  • celle monocristalline;
  • celle policristalline;
  • celle amorfe.

Le celle monocristalline sono costituite da un unico cristallo, orientato nella stessa direzione. Questa caratteristica consente di sfruttare al meglio l’energia solare che la cella riesce a captare. La colorazione di queste celle è tipicamente nera.

Le celle policristalline sono ricavate dagli scarti dell’industria elettronica; sono formate da più cristalli e la loro colorazione tipica è quella del blu cangiante.  L’orientamento del cristallo è più disordinato e non permette di sfruttare al massimo l’energia solare incidente.

Le celle fotovoltaiche amorfe presentano una struttura più caotica del silicio che, in questa configurazione, non ha più forma cristallina. Sono impiegati in ambito di integrazione architettonica, di arredo urbano o di elementi strutturali di edifici.

Celle in serie o in parallelo?

In serie. La connessione dei moduli in serie è abbastanza semplice perché non richiede l’utilizzo di attrezzi aggiuntivi.
Tutto ciò che si deve fare è collegare il terminale positivo del primo modulo al terminale negativo di quello successivo. Procedendo in questo modo con gli altri moduli, si viene a creare una stringa connessa in serie, che può arrivare a contenere fino a 20 moduli fotovoltaici.
Con il cablaggio in serie sarà necessario un solo filo per collegare tra di loro tutti i pannelli di una stringa.
In una connessione in serie, le tensioni prodotte da ogni singolo modulo vengono sommate tra di loro. Ciò significa che la tensione di uscita totale è data dalla somma delle tensioni di uscita di ciascun modulo. La corrente, invece, rimane uguale a quella prodotta da un solo modulo.
Il cablaggio in serie viene utilizzato per aumentare la tensione totale dell’impianto. Di conseguenza, le perdite di energia lungo i cavi saranno minori.

In parallelo. Per la connessione in parallelo non è sufficiente un solo cavo per collegare i moduli. Il collegamento si effettua infatti collegando il terminale positivo di un modulo al terminale positivo di un altro con un primo filo e si procede in modo analogo con i terminali negativi degli stessi moduli utilizzando un secondo filo.
Questo tipo di collegamento viene utilizzato quando hai bisogno di ottenere una corrente erogata superiore a parità di tensione. Qui, infatti, la tensione di uscita totale rimane uguale a quella prodotta da ogni singolo modulo, mentre le correnti di ciascun pannello vengono sommate tra di loro.

Meglio in serie o in parallelo?

Serie.
Vantaggi: facilità di montaggio, tensione più elevata.
Svantaggi: se solo uno di essi produce meno corrente degli altri a causa della presenza di ombre o di un orientamento sbagliato, ne risentirà l’intera stringa poiché il pannello meno efficiente influenzerà tutti gli altri.

Parallelo,
Vantaggi: l’ombreggiamento non costituisce alcun problema.
Svantaggi: non è sufficiente un solo cavo per collegare i moduli.



DIMENSIONAMENTO PANNELLI

Le celle fotovoltaiche si collegano fra loro dando vita a pannelli fotovoltaici, i quali, a loro volta si collegano tra loro costituendo l’impianto fotovoltaico. In tale connessione, i pannelli possono essere disposti in diverse stringhe eventualmente collegate in parallelo fra loro.

Un pannello fotovoltaico comune oggigiorno produce circa 350 watt picco di energia Wp. Naturalmente l’efficienza varia a seconda della tipologia di pannello fotovoltaico e della marca.

In media, per installare 1 kW – circa 4 pannelli – di impianto fotovoltaico su classico tetto a falde servono 6-7 mq di superficie libera. Su tetto piano, invece, lo spazio necessario è di 9-10 mq perché bisogna tenere conto dei supporti per inclinare i pannelli. Quindi per una abitazione con 3 kW servono circa 10/12 pannelli, 30 mq (5×6)



BATTERIE DI ACCUMOLO

Le batterie di accumulo o accumulatori solari sono dispositivi in cui viene immagazzinata l’energia solare generata da un impianto fotovoltaico. In presenza di batterie diminuisce la richiesta di energia alla rete elettrica ed è possibile raggiungere l’indipendenza.
La durata delle batterie mediamente varia dai 6mila ai 10mila cicli garantiti, un numero che cambia in base a diversi fattori.

Tipi di batterie

  • BATTERIA Pb-Gel: L’elettrolita di queste batterie è trasformato in uno stato gelatinoso per l’aggiunta di acido silicico. Ne deriva una maggiore insensibilità alle vibrazioni ed alle oscillazioni di temperatura.
  • BATTERIA AGM (Absorbet Glass Mat): si tratta di accumulatori ermetici, esenti da manutenzione che possiedono una scarica lenta nel tempo e possono affrontare molti cicli di carica/scarica.
  • BATTERIA SUPERCAP (Supercondensatori)si tratta di una nuova generazione di batterie composte da supercondensatori ad alta capacità, in grado di rilasciare un’elevata energia in breve tempo. Sono inoltre più prestantimeno pesanti e meno inquinanti delle batterie classiche.

Per la capacità di accumulo si dovrà calcolare la sua Potenza lorda. Si calcolerà poi la Capacità di accumulo.

Nonostante il calcolo dei giorni di autonomia, è sempre buona regola disporre di una fonte di energia di riserva (gruppo elettrogeno con intervento automatico) al fine di evitare il distacco forzato degli accumulatori e quindi per evitare il rischio concreto di spegnimento del sistema di sicurezza.



INVERTER

L’inverter è un elemento cardine dell’impianto fotovoltaico: è un apparecchio elettronico che converte la corrente continua, derivante dall’energia solare, in corrente alternata, la comune energia elettrica impiegata nelle case e negli uffici commerciali.



LO SCHEMA



Fotovoltaico industriale

Per la installazione è necessario possedere spazi adeguati, una opportuna inclinazione della superficie disponibile e una area ben esposta ai raggi solari.

Per impianto fotovoltaico industriale impianto solare fotovoltaico industriale si intende un impianto con una potenza di uscita superiore a 100 kWp.

I modelli standard di impianti fotovoltaici, realizzati con 60 celle in silicio cristallino, occupano circa 6 metri quadri per kW. Quindi 6000 mq per 1MWp, ovvero circa 80 x 80 metri. Praticamente un campo di calcio.

I prezzi possono variare notevolmente per il tipo di pannelli utilizzati e della tecnologia ,
Generalmente, l’investimento è piuttosto impegnativo,

A scopo informativo un impianto fotovoltaico industriale da 100 kWp si aggira attorno ai 200.000 euro.
Per una potenza compresa tra i 100 e 500 kWp l’investimento è più vicino ai 1000 euro/kWp.

DUBBI

1. Le difficoltà di smaltimento rendono il fotovoltaico molto inquinante.
2. I pannelli non riducono effettivamente le emissioni di CO2, perché per produrli si consuma energia da carbone.
3. I fotovoltaici sottraggono terreno agricolo.
4. I fotovoltaici sono un pericolo per il paesaggio e compromettono la biodiversità.
5. Il fotovoltaico non produce energia in modo programmabile e prevedibile.



CONCLUSIONE

Il fotovoltaico civile va bene ad uso individuale o condominiale fin tanto quando ci sono gli incentivi statali, e non tutti gli edifici li possono accogliere. In una grande città, per esempio, l’uso è limitato. In ambito nazionale diciamo che la massima estensione dall’attuale 4% (fonte Terna) può arrivare max 10/12% del fabbisogno nazionale.

Il fotovoltaico ad uso industriale presuppone grandi investimenti, disponibilità di terreno o ampia copertura sul capannone. Attualmente la percentuale usata per produrre energia elettrica è irrisoria e non è destinata a cambiare.

Ritorna a
Green Deal – Ingegneria
Ritorna a
Home
Pubblicato in Ambiente, Attualità, Scienza, Tecnologia | Contrassegnato , , | Lascia un commento

Energia, a che punto siamo?

Il 12 Maggio 2021 la Commissione Europea ha adottato il piano d’azione per la riduzione della CO2.
Il piano d’azione stabilisce obiettivi chiave per il 2030 miranti a ridurre del 50% l’inquinamento alla fonte, rispetto alla situazione attuale, e il conseguente azzeramento nel 2050.
Un planning di lavoro con uno scadenziario che detta i tempi di realizzazione dei provvedimenti da intraprendere.

A che punto siamo?

Nell’anno 2019 il consumo mondiale di energia ha raggiunto i 153.000 TWh, con un aumento del 16% in quindici anni.  

La domanda non farà che aumentare la produzione nei prossimi decenni

SITUAZIONE

La situazione attuale è rappresentata dalla seguente tabella che comprende tutte le categorie: civili, industriali, trazione.

  1. in corrispondenza dell’anno 2019 si nota una caduta mondiale delle energie fossili (petrolio, carbone, gas naturali). Questo è dovuto al Sars 19 (covid). Successivamente sono tornate ad aumentare malgrado ci fosse da aspettarsi un intervento della nazioni nella loro riduzione;
  2. l’idroelettrico e nucleare rimangono costanti;
  3. le rinnovabili sono sensibilmente aumentate. Aumento del tutto preventivabile dal momento che negli anni 2000 erano praticamente assenti e malgrado gli incentivi statali;
  4. praticamente ininfluenti le biomasse, il geotermico.
  5.  il petrolio nel periodo considerato è sempre stata la fonte di energia più utilizzata.
  6. l’utilizzo del carbone non diminuisce, addirittura in aumento nei primi anni del 2000, ora costante;

La tabella sottostante (Wikipedia) illustra in termini percentuali il fabbisogno di energia mondiale, dalla quale possiamo fare una chiara considerazione:

  • l’attuale irrilevanza del contributo del fotovoltaico, geotermico, dei carburanti biologici
  • i carburanti fossili coprono il fabbisogno dell’85%
  • nessun progresso nella riduzione della CO2

Questa successiva tabella mostra più chiaramente il gap tra le fossili e rinnovabili

DOMANDE

Se nel 2050 è previsto l’azzeramento dei carburanti fossili, le domande da porsi sono:

  • possono le energie rinnovabili coprire l’attuale disavanzo?
  • quali altre fonti possono concorrere?

ENERGIA IN ITALIA

Ora veniamo ai fatti di casa nostra. Qui sotto la ripartizione in percento della energia italiana prodotta per fonte nel 2019 (fonte Geopop).

  • La situazione non è molto distante da quella mondiale.
  • La domanda di energia elettrica in Italia nel 20221 è stata pari a 315 TWh. (fonte Terna)
  • La fonte termoelettrica non rinnovabile ha coperto la maggior parte del fabbisogno, rappresentando lo 80.07% della produzione.
  • Le rinnovabili, eolio + solare, è di circa il 6.5%
  • Biomasse praticamente stabili al 10.2%
  • La produzione del nucleare è nulla per scelta politica.

CONSIDERAZIONI

  1. Fotovoltaico. Sorprende il valore “ancora” basso della sua incidenza malgrado gli incentivi. E’ più che evidente che questa fonte ha un limite massimo dovuto alla quantità di spazio. Il fotovoltaico, infatti, è fortemente condizionato dalla enorme superfice richiesta che mai potrà essere tale per “soddisfare” il fabbisogno totale. Es: per produrre 45 MWh servono circa 48 ettari di superfice. Per la città di Roma servirebbe ls sua stessa superficie.
  2. L’eolico è fortemente vincolato da motivi paesaggistici. In diminuzione;
  3. Biomasse. Diciamo poca cosa, né si prevedono progressi. In diminuzione.

L’utilizzo del fossile non diminuisce, nè diminuirà nei prossimi decenni

COSA FARE?

  1. Fotovoltaico. E’ necessario calcolare la massima disponibilità della superfice da occupare. Stabilire i relativi Kw/h che possono fornire;
  2. Eolico: Idem, numero massimo di torri installabili sul territorio e relativi Kw/h forniti;
  3. Biomasse. Il problema delle biomasse è della disponibilità di una quantità di combustibile a basso costo adeguata a giustificare l’investimento in un impianto a biomassa di una determinata taglia limita l’utilizzo di questa fonte. Tra l’altro pone seri problemi nella gestione sostenibile delle foreste e nella scarsa efficienza energetica, l’inquinamento da CO2 prodotto dalla combustione (il legno ha il maggior contenuto di carbonio più dei carburanti fossili), le polveri sottili e l’irrisolto problema dei materiali di scarto;
  4. Nucleare. Il problema del nucleare, a detta degli scienziati ed economisti, ed ora anche della Unione Europea, è la fonte da usare nel futuro, per la sicurezza, lo smaltimento, perchè la più pulita. E’ solo un problema geopolitico. Ovvero vincere la diffidenza sul nucleare di alcune forze politiche e la resistenza sulla dislocazione territoriale degli impianti. C’è solo da scegliere il tipo di impianto. La scelta, infatti, per la riduzione dei costi, impone la costruzione di mini impianti un po’ su tutto il territorio nazionale.
  5. Preservare e sviluppare l’idioelettrico;
  6. Termovalorizzatori. La termovalorizzazione è l’anello conclusivo che consente di non sprecare ciò che non può più essere recuperato riciclandolo, ma di impiegarlo come fonte energetica.     

In pratica:

Se indichiamo con:
Q1t=la energia totale prodotta
Q1p=energia prodotta dal petrolio
Q1c=energia prodotta dal carbone
Q1g=energia del gas
Q1i=energia idroelettrica
Q1n=energia nucleare
Q1s=energia fotovoltaica
Q1e=energia eolica
Qm=energia delle biomasse


Risulterà:
Q1t = Q1p + Q1c + Q1g + Q1i + Q1n + Q1f + Q1e + Q1m = ΣQ(i)

Ora, se l’obiettivo è zero fossili:
Q1p + Q1c + Q1g = 0
dovrà risultare
Q1t = Q2i + Q2n + Q2f + Q2e + Q2m = Q2t

Il problema quindi è convertire quell’83% del fossile in energie alternative rinnovabili.

IPOTESI

Ipotesi 1:
Puntare tutto sul nucleare come la Francia, che prevede 320 TW nel 2035, più dell’intero nostro fabbisogno.

  • per coprire il fabbisogno di 315 TW occorrono 214,2 TW del nucleare pari al 68%

Ipotesi 2:
Massimo sfruttamento delle rinnovabili al 30%

  • per coprire il fabbisogno di 315 TW occorrono 182.7 TW del nucleare pari al 58%
  • la massima percentuale del solare + eolico è stimata nel 30% per i sopra elencati motivi di area occupabile e paesaggistici.

Ipotesi 3:
Questa ipotesi è basata nel far ricoprire la metà delle fonti fossili con il nucleare, facendo ricorso ai termovalorizzatori per il restante 28% (termovalorizzatori in Germania = 96, in Francia =126, in Italia =37)

  • valore eolico + solare + biomasse + idroelettrico = valore atteso
  • zero fossili

Ipotesi 4:
Questa ipotesi tiene fermo l’obiettivo nucleare al 40% (obiettivo inderogabile), mantenere una quota parte del gas, una quota minima della termovalorizzazione nel caso di problemi ambientali e politici.

Questa soluzione rappresenterebbe il giusto equilibro nella ottimizzazione dei costi nella realizzazione degli impianti:
  • nucleare
  • termovalorizzatori

Ovviamente si possono formulate ipotesi intermedie pur puntando decisamente al nucleare.

CONCLUSIONI

  • l’80% del fossile deve essere sostituito dall’attuale 6,5% del fotovoltaico ed eolico, le cosiddette rinnovabili non inquinanti;
  • non si prevedono incrementi dell’idroelettrico;
  • poca considerazione viene riservata alle biomasse (fortemente inquinanti)
  • questo significa che questo disavanzo gravita sulle spalle del fotovoltaico, eolico ed ora più che mai sul nucleare (unica vera fonte di energia inesauribile, pulita) e i termovalorizzatori.

COSA FARE?

Dal momento che in questo decennio il fossile non solo non è diminuito ma è in costante aumentato, e le rinnovabili non decollano, è più che evidente il ricorso al nucleare in una misura non inferiore al 40% il cui unico vincolo è il costo in funzione del tipo di impianto da utilizzare.
Per il resto, visto il limite del solare + eolico massimo al 20/25%, l’idroelettrico costante, non resta che puntare sulla quota del gas, i termovalorizzatori e una riduzione delle biomasse.

Una sfida, obiettivamente ardua ma non impossibile nel 2050 se ci mettiamo con impegno fin da oggi.

Ritorna a
Green Deal – Ingegneria
Ritorna a
Home Page
Pubblicato in Ambiente, Attualità, Fisica, Società | Contrassegnato , | Lascia un commento

Auto ad idrogeno

Le auto a idrogeno vengono alimentate da un motore elettrico, quindi rientrano a pieno titolo nella tipologia delle auto elettriche.

Gli elementi di un motore ad idrogeno sono:
– un serbatoio che contiene l’idrogeno
– un pacco batterie
– una cella a combustione
il motore elettrico

Idrogeno

«L’idrogeno» NON è un carburante.

Un combustibile o carburante ha la capacità “energetica” propria dovuta alla presenza del carbonio nella sua struttura chimica.
L’idrogeno NON ha atomi di carbonio nella sua struttura chimica.
Gli idrocarburi, come petrolio, gas naturale e carbone hanno potere calorifico dovuto al rilascio di energia sotto forma di calore durante la combustione dei legami carbonio-idrogeno.

Cosa si intende per combustione.
La combustione è una reazione di ossido-reazione in cui l’ossigeno (comburente) è la specie che si riduce mentre l’altra specie (combustibile) si ossida. Una molecola di metano CH4 e due molecole di ossigeno O2 reagiscono in una reazione di combustioni liberando calore.

L’idrogeno nei motori elettrici viene utilizzato come «fonte» per una reazione chimica per produrre energia.

La stragrande maggioranza dell’idrogeno (70%) oggi proviene da combustibili fossili e prodotto per «elettrolisi». Una volta ottenuto l’idrogeno, immagazzinato in un opportuno serbatoio, viene fatto reagire con l’ossigeno in «celle di combustione» formando acqua ed energia elettrica per alimentare il motore elettrico.

Le auto a idrogeno hanno una trazione esclusivamente elettrica e viaggiano, pertanto, a zero emissioni locali.

Cella a combustione

La cella a combustione è in grado di convertire in elettricità l’energia chimica attraverso una coppia di reazioni di ossidoriduzione.

Una cella a combustibile è composta da un anodo e un catodo (come il polo positivo + e quello negativo – di una tradizionale “pila”) e permette di “isolare” l’elettrone contenuto in un atomo di idrogeno, generando allo stesso tempo lo ione positivo H+.

Il protone e il neutrone che formano lo ione H+ si combinano con l’ossigeno. Il prodotto finale della reazione viene smaltita dalla fuel cell sotto forma di acqua H2O. L’elettrone, invece, viene immagazzinato in una batteria tampone – per poi essere utilizzato in un secondo momento – oppure va direttamente ad alimentare un motore elettrico.

Il calore in eccesso viene infine dissipato, in quantità inferiore rispetto alle auto con motori a benzina e a gasolio, come del resto avviene anche sulle auto elettriche a batteria.

Batteria

La fuel cell è collegata a un motore elettrico di trazione che però non riceve sempre tutta l’energia prodotta, che invece può anche essere immagazzinata in un pacco batteria di capacità inferiore rispetto a quello di un’auto elettrica BEV, che funge da buffer nelle condizioni di guida meno impegnative, per poi intervenire quando sono richieste tutte le prestazioni.

Serbatoio idrogeno

L’idrogeno è il gas più leggero esistente. Se volessimo stoccare 5kg di idrogeno allo stato gassoso a pressione atmosferica e temperatura ambiente, occorrerebbe un serbatoio da circa 55.000 litri. 

Per questo motivo l’idrogeno va stoccato ad alte pressioni, in modo tale da aumentare la densità di energia per volume occupato. Più aumenta la pressione e minore sarà il volume occupato dall’idrogeno,

Generalmente l’idrogeno viene compresso a circa 700 bar (circa il triplo rispetto al metano!), in questo modo il volume occupato è di circa 25 litri per chilogrammo di idrogeno.

Per lo stoccaggio dell’idrogeno compresso si utilizzano speciali serbatoi, generalmente di forma cilindrica per garantire una migliore distribuzione delle pressioni. Questi serbatoi sono realizzati in più strati di materiali compositi e sono praticamente a prova di bomba.

L’idrogeno deve essere prelevato da speciali distributori.

Consumo e costo

Con un chilogrammo di idrogeno, un’auto a celle a combustibile può percorrere circa 100 chilometri. Quindi, i costi al chilometro di un’auto a idrogeno sono attualmente pari a quelli dei veicoli a combustione.
Il costo di un Kg è di circa 12-15€

Ritorna a
Green Deal – Ingegneria
Ritorna a
Home Page
Pubblicato in Ambiente, Attualità, Tecnologia | Contrassegnato , | 2 commenti

Perché non si vedono le stelle nelle foto della missione Apollo sulla Luna?

La rete televisiva Fox nel 2001, trasmise un documentario intitolato Conspiracy Theory: Did We Land on the Moon?

In sostanza, si sosteneva che la NASA avesse simulato il primo sbarco sulla Luna nel 1969 per vincere la corsa allo spazio. Tra le prove a sostegno di questa ipotesi c’era appunto il fatto che non vi fosse traccia di stelle nelle foto scattate sul suolo lunare.

Dopo 54 anni c’è ancora qualcuno che grida alla cospirazione.

Eppure, la risposta è piuttosto semplice e dovrebbe essere ben nota ai fotografi.

Gli astronauti della NASA hanno scattato tutte le loro fotografie su pellicola con una macchina fotografica che aveva la velocità dell’otturatore molto elevata. Questo significa che l’otturatore è rimasto aperto per frazioni di secondo, sufficienti per esporre correttamente le immagini scattate sulla Luna, ma non abbastanza per catturare la debole luce delle stelle sullo sfondo.

Ne volete la prova?

Questa sera fotografate le stelle con il vostro cellulare o reflex. Probabilmente non vedrete alcuna stella, perché è probabile che le impostazioni della fotocamera siano impostate su un tempo di esposizione breve, che consente di prendere solo una certa quantità di luce dagli oggetti luminosi più vicini.

La sonda indiana, Chandrayaan 2, ci ha inviato due foto della superficie della Luna, in altissima risoluzione, relative ai siti di allunaggio di Apollo 11 e 12.
Fine.

Ritorna a
Fisica e Astronomi
a
Ritorna alla
Home Page
Pubblicato in Astronomia, Società, Tecnologia | Contrassegnato | Lascia un commento

La roccia di Al Naslaa

La formazione rocciosa di Al Naslaa si trova nell’arida oasi di Tayma, nel deserto del Nefud, in Arabia Saudita. È composta da arenaria, alta circa 9 metri e larga 7,6.
Tra le altre cose, il massiccio d’arenaria è interessante per via delle pitture rupestri che vi si possono scorgere. Le incisioni rupestri che ricordano un uomo e un cavallo. Queste occupano una piccola porzione della roccia, ma danno quel “tocco antropico” che tanto ci piace.

L’oasi di Tayma, situata nel nord-ovest della penisola arabica, è un concentrato di storia, tradizione artistica e curiosità geologiche.

Quel blocco d’arenaria che se ne sta lì, immobile e all’apparenza immutabile, su un piedistallo solido ma eroso dal tempo, oltre che dall’azione degli agenti atmosferici.

La roccia di Al Naslaa è spaccata a metà da un taglio netto.

Come ci si spiega una spaccatura così netta e “lineare”? Sembra fatto da un laser.

La sua forma, con la particolare spaccatura centrale e la base sottile, ha dato il “la” ad una serie di teorie.
Se andate su internet troverete chi cerca di spiegarti con convinzione la sua teoria.
Ne elenco solo qualcuna.

Erosione del vento, sabbia, acqua.
Tutte quelle formazioni appartenenti al substrato calcareo o arenario hanno subito nel tempo la progressiva erosione dovuta all’agire di sabbia, vento e acqua (piogge periodiche). Questo mix di agenti avrebbe ulteriormente modificato/scavato una giuntura centrale già presente sulla roccia.
In definitiva Madre Natura non ha fatto altro che terminare un compito da lei iniziato millenni fa.

Gli agenti atmosferici hanno un ruolo importante nelle erosioni. Tuttavia questa teoria sembrerebbe poco applicabile, se pure presente, se paragonate ad altre strutture nelle stessa area. Gli agenti atmosferici agiscono su ogni lato indifferentemente. La nostra pietra presenta al contrario una superficie liscia solo nella parte anteriore e non in tutta la roccia come cisi aspetterebbe. E nessuna smussatura o corrosione in corrispondenza della fessura.

Escursione termica
L’insolita formazione potrebbe essersi formata a causa di un processo chiamato “gelo-disgelo”, che si verifica quando l’acqua entra in una piccola crepa nella roccia. Quando la temperatura scende, l’acqua si congela e si espande, facendo sì che la crepa si allarghi e si allunghi: il processo si ripete per migliaia, o anche milioni di anni fino a quando la roccia alla fine si spacca.
Tutto vero, ma questo presuppone una pressione smisurata da parte di pochi centimetri di acqua, che tuttavia non giustifica un taglio così netto e perfettamente perpendicolare. E se osservate bene gli strati orizzontali non coincidono.

Origini geologiche
La spaccatura è invece un giunto, causato probabilmente dal rilascio di pressione quando lo strato di roccia era più continuo, e poi lasciato esposto all’erosione che l’ha levigato.

Mano dell’uomo
Non è esclusa però la mano dell’uomo, dato che le civiltà passate hanno creato Stonehenge, i Moai dell’Isola di Pasqua, la perfetta squadratura dei blocchi delle piramidi, la levigazione del calcare dei sarcofagi egiziani. Se guardate intatti le due parti sembrano levigate diversamente come se quella a destra dovesse accogliere altri graffiti, cosa difficile da attribuire alla perfetta levigatura omogenea esercitata all’effetto erosione della sabbia trasportata dal vento. Non si può escludere alcuna possibilità.

Conclusione
Insomma, al momento abbiamo solo teorie sulla formazione di questa roccia ma… ci sentiamo di poter escludere il laser alieno tra queste!



Ritorna alla
Home Page
Ritorna a
Raccolta Misteri
Pubblicato in Misteri | Contrassegnato , | Lascia un commento

La catenaria del Ponte sullo Stretto di Messina

La catenaria è la curva che si ottiene fissando a due estremi una catena (o una fune omogenea), soggetta alla sola forza di gravità. Assomiglia molto alla curva di una parabola.
Meno spanciata, più a cuspide di equazione:

y(x) = k*cosh(x/k)

dove k è la distanza del vertice della catenaria al manto stradale, cosh è il coseno iperbolico

Lo sviluppo dell’arco (lunghezza della catenaria) in funzione dell’ascissa x è espresso dalla formula:
L(x) = k * senh(x/k)

Mentre la tensione sulla fune in funzione di x è data dalla formula:
T(x) = p * k * cosh(x/k) dove p è il peso per unità di lunghezza della fune

La freccia H risulterà:
H + k = k * cosh(L/k)
Esempio
p= 2 N/m
L= 4.0 m
H= 8.0 m
(le formule sono state prese da un sito di ingegneria.)
Qualche volenteroso può risolvere tutte le equazioni semplicemente con Excel.

I ponti sospesi sfruttano tutti il medesimo principio della catenaria. L’importante è poter «sollevare» la catenaria portante per ottenere un rapporto freccia / luce tra 1/10 e 1/12. Per il ponte di Messina è stato scelto 1/11.

La situazione è sempre la stessa: dei grandi cavi di sospensione fatti in acciaio ad alta resistenza che si estendono longitudinalmente tra due blocchi di ancoraggio e sono sorretti da due torri.

Da questi cavi partono verso il basso i pendini che sorreggono l’impalcato. Tutti i ponti sospesi di grande luce del pianeta sono fatti in questo, identico modo.

Hanno tutti due torri e un’impalcato con due grandi cavi di sospensione. La scelta della dimensione, decisa in base al luogo dove il ponte deve essere realizzato, non cambia il principio fondamentale di funzionamento di queste strutture.

Le attuali tecnologie permettono di realizzare una campata centrale di circa 5 km di lunghezza prima di arrivare alla luce critica.

Per il ponte di Messina è stata scelta una campata di poco più di 3 km per evitare di mettere le torri in acqua, cosa quasi impossibile nello stretto di Messina.

A dirla tutta le prestazioni del manufatto aumentano al crescere delle sue dimensioni: più il ponte è grosso, meno risente del transito dei carichi e dei terremoti in quanto si riduce la deformabilità della struttura. È intuitivo, nonché verificabile sui ponti sospesi già esistenti. Quelli più grandi sono anche quelli più stabili a parità di generazione. Non a caso quando le dimensioni non sono sufficienti, in genere entro 1,5 km di luce, è bene ricorrere allo schema misto con stralli in caso di transito ferroviario.

Un ponte di luce 3300 m è ideale per il transito dei treni. Passando (ad esempio) da 1650 a 3300 metri di luce il peso strutturale triplica, mentre quello dei treni rimane invariato; quindi, è come se i treni pesassero un terzo.

Più il ponte è grosso, meno il traffico influisce. A partire dai 1300 m di luce, i ponti sospesi sono strepitosi.

Il coefficiente di abbassamento ‘q’ diventa insignificante e c’è una riduzione dell’abbassamento al crescere della luce L.

I vantaggi non sono solo per la ferrovia e le auto, ma anche per il montaggio (il cavo si abbassa di meno, minori distorsioni da compensare).


Per finire due domande e due risposte.
1 – Cosa sono il seno e coseno iperbolico.
2 – Perché vengono rappresentate con funzioni trigonometriche.

1) senhx = ( ex – e-x )/2
coshx = ( ex + e-x )/2
2) Le funzioni trigonometriche “classiche” sen x e cos x, ci forniscono le coordinate dei punti della circonferenza di raggio unitario x 2+y 2 = 1, le nuove funzioni senh x e cosh x ci forniscono le coordinate dell’iperbole equilatera di asintoti le bisettrici, di equazione x2 − y2 = 1.

Torna alla
Home Page
Torna a
Fisica, Astrofisica, Tecnologia
Pubblicato in Attualità, Scienza, Tecnologia | Contrassegnato , | Lascia un commento

Asteroidi near-Earth 

Gli astronomi li chiamano «quasi-satelliti». Sono asteroidi near-Earth (prossimi alla Terra) con orbite così simili a quelle d’un pianeta che sembrano orbitargli attorno, ma in realtà ruotano attorno al Sole. Ce li ha Venere, Nettuno, forse Cerere.
E ce li ha anche la Terra che a oggi ne conta sette.

L’ultimo scoperto risale al 2016 dal telescopio PanStarrs, alle Hawaii.  (469219) Kamoʻoalewa, un masso dal diametro compreso tra i 40 e i 100 metri.

La notizia, già di per sè di rilevanza straordinario, è balzato agli onori della cronaca per la sua probabile origine lunare. Un team di astronomi dell’Università dell’Arizona ha infatti scoperto che le sue caratteristiche fisiche sono molto probabilmente simili a quelle delle rocce lunari.

Nel corso della sua storia, la Luna è stata bombardata da moltissimi asteroidi, cosa evidente nei numerosi crateri da impatto che segnano la sua superficie. La maggior parte del materiale espulso con questi impatti solitamente ricade sulla Luna, mentre la restante parte raggiunge la Terra sotto forma di meteore.
Una piccola quota, tuttavia, potrebbe sfuggire alla gravità sia della Luna che della Terra e finire per orbitare attorno al Sole, come altri asteroidi near-Earth.

Tenendo in debita considerazione le forze gravitazionali di tutti i pianeti del Sistema solare, il team ha scoperto che c’è una probabilità di circa il 7 per cento che alcuni frammenti lunari possano effettivamente posizionarsi in orbite tipiche dei quasi-satelliti, al di fuori della «nostra sfera di Hill», la regione dove l’influenza gravitazionale terrestre prevale su quella solare.

In futuro i ricercatori cercheranno di dedurre l’età esatta dell’asteroide e di identificare le specifiche condizioni che gli hanno consentito di entrate nella sua attuale orbita.

In conclusione, questo asteroide di origine lunare dovuto ad un impatto viene catturato dalla Terra per via della sua gravità, ma in grado di sfuggire alla gravità del Sole. Quindi girerebbe attorno al sole praticamente sulla nostra orbita.
Resta solo da capire se c’è il rischio che, una volta rotto l’equilibrio gravitazionale Terra-Sole. un giorno possa precipitare sulla Terra.

(fonte: MEDIA INAF)

ritorna a
Fisica e Astrofisica
ritorna
alla Home Page
Pubblicato in Astronomia, Attualità, Cosmologia, Fisica, Scienza, Ultime dallo spazio | Contrassegnato | Lascia un commento

Motore quantistico



La differenza tra fermioni e bosoni
Principio di funzionamento del motore quantistico
Conclusione

Il principio era molto semplice. Se l’acqua in ebollizione, alimentata da una sorgente di calore, poteva fornire energia capace di muovere il coperchio della pentola, allora questa energia poteva essere utilizzata per la locomozione.

Fu così che nacquero i motori a combustione interna. Dal carbone dei treni, ai combustibili fossili e di altro genere delle attuali automobili, fino ai nuovi motori elettrici alimentati dalla energia chimica prodotta da batterie.

Con la messa al bando dei combustibili fossili c’è una frenetica ricerca di una fonte alternativa per alimentare le nostre automobili.
Nucleare? Certamente che no.
A idrogeno? Troppo pericoloso.
Bio carburanti? Elevati costi di produzione.
Poi ho letto di questa cosa dei motori alimentati ad energia quantica.
E così ho cercato di capirci qualcosa.

Alla luce dei risultati ottenuti, gli scienziati sostengono che la meccanica quantistica rappresenta una risorsa termodinamica preziosa per la produzione di lavoro.
Vado subito al sodo:



Questo tipo di motore impiega un gas che può trasformarsi da un gas di fermioni in un gas di bosoni.

La differenza tra fermioni e bosoni

I fermioni e i bosoni rappresentano un mezzo per classificare tutte le particelle in due categorie. La loro distinzione deriva da una proprietà nota come spin, che è un momento angolare intrinseco. Mentre i fermioni presentano uno spin frazionario, i bosoni hanno uno spin intero.

Lo spin, quindi, è una proprietà intrinseca delle particelle e può essere interpretato come un momento angolare.

Ma andiamo velocemente per ordine.

ELETTRONI

  • L’elettrone è una particella estremamente piccola con carica negativa che ruota su una orbita attorno al proprio nucleo, a cui siamo scolasticamente più vicini, e perché tutto inizia da quella particella elementare.
  • Gli elettroni sono distribuiti su diversi orbitali ognuno con energia quantizzata, ovvero pacchetti predefiniti di energia.
  • In ogni orbita non ci possono stare due elettroni identici (principio di esclusione di Pauli). In pratica è vietato alle particelle avere le stesse caratteristiche fisiche sullo stesso livello.

SPIN

L’elettrone non solo ruota attorno al proprio nucleo, ma ruota anche attorno a se stesso. Questo movimento è chiamato “spin” che in inglese significa rotazione.

Secondo la meccanica quantistica l’elettrone ha accesso a due stati di spin, rappresentati con le frecce su ↑ e giù ↓ o con le lettere greche α e β.

I due stati di spin sono contraddistinti da un quarto numero quantico, il numero quantico magnetico di spin, ms, che può assumere due soli valori: +1/2 denota un elettrone ↑ e −1/2 denota l’altro elettrone

Ogni particella ha un valore fissato di spin che dipende solo dalla particella e che non può essere alterato in nessun modo.
Ci sono particelle e particelle. Ci sono le particelle che praticamente non hanno massa come i fotoni che hanno spin intero e particelle con massa come l’elettrone che hanno un semi spin (frazionato).

Il fotone ha spin = 1; il gravitone (particella ipotizzata ma non ancora trovata) ha spin = 2.
Questa famiglia di particelle viene chiamata bosoni.
L’elettrone, i neutrini e quark hanno spin = ½.
Questa famiglia di particele viene chiamate fermioni.

Sono fermioni:
L’elettrone (muone e tauone). Leptone con carica.
Il neutrino (elettronico, muonico e tauonico). Leptone privo di carica.
I Quark (up, down, charm, strange, top e bottom). Leptone privo di carica.

Sono bosoni:
Il fotone
Il gluone
Il bosone Z
Il bosone W
Il bosone di Higgs

I fermioni sono componenti della materia, i bosoni sono mediatori delle interazioni fondamentali (elettromagnetica, forza nucleare debole e forte, forza gravitazionale)



PRINCIPIO DI FUNZIONAMENTO DEL MOTORE QUANTISTICO

I fermioni, a causa del principio di esclusione di Pauli, tendono a respingersi a vicenda, mentre i bosoni possono raggrupparsi strettamente.

Questi ultimi, se raffreddati a una temperatura sufficiente, formano un particolare condensato (di Bose-Einstein-BEC) noto come quinto stato della materia che viene raffreddato e racchiuso in un contenitore.

I gas a base di bosoni e fermioni hanno una differenza energetica notevole. Per arrivare a costringere bosoni e fermioni ad interagire bisogna portarli a basse temperature.
Quando il condensato viene trasformato in un gas di fermioni, il suo volume si espande, spingendo il pistone verso l’alto o verso il basso.

E’ possibile alimentare il motore trasformando ciclicamente i fermioni in bosoni e viceversa.
Per trasformare i fermioni in bosoni, è necessario combinare due fermioni per formare una molecola, che agisce come un bosone. La decomposizione successiva consente di recuperare i fermioni originali. Attraverso questo processo ciclico, è possibile alimentare il motore senza l’uso del calore.

Il prototipo attuale ha raggiunto un’efficienza del 25% ben lontano dalla efficienza del motore endotermico che si aggira intorno al 40 per cento e lontanissimo dalla resa dei motori elettrici che raggiungono anche il 90%.



CONCLUSIONE.
Gli scienziati sono ottimisti sulle potenzialità future di questa tecnologia rivoluzionaria.
Il potenziale di questa tecnologia verrà esplorato in ulteriori studi, poiché, nonostante sembri altamente efficiente sulla carta, finora è stato realizzato solo come «prova concettuale»

Per quanto tutto questo ci possa sembrare interessante resta da capire quando il motore quantico sarà industrializzato con efficienze competitive con altri motori e soprattutto i costi.

ritorna a
Fisica e Astrofisica
ritorna alla
Home Page
Pubblicato in Attualità, Scienza, Tecnologia | Contrassegnato , , , | Lascia un commento